Una preghiera in Valle a Maria Bambina
In Valcamonica la preghiera della parrocchia di Santa Maria Nascente a Edolo
Una corona di dodici stelle, santa e immacolata. E una corona multiforme, insidiosa e letale. Il bene contro il male: «A Maria Bambina, nostra patrona, vi affidiamo». Suona come un’invocazione la preghiera della Parrocchia di Santa Maria Nascente a Edolo, l’ «augurio di pronta guarigione a chi si trova in quarantena» che su Facebook è stato rivolto ai fedeli e a tutta la comunità. In una nicchia della chiesa, in alta Valle Camonica, è custodito il sacro simulacro di cera: sullo sfondo una parete rosa e, in centro, la piccola Maria.
Sembra una bambola, avvolta in fasce di pizzo bianco. Sul capo la neonata porta il simbolo della sua regalità divina: la corona della Vergine. Non bella né artisticamente rilevante e dall’aspetto esageratamente barocco. Si capisce che non ha la pretesa di essere un’opera d’arte ma qualcos’altro: un segno della devozione popolare. Un omaggio all’infanzia della Madonna che racchiude un evidente carisma apotropaico, premessa per esperienze spirituali più profonde. Il culto di Maria Bambina è una pratica diffusa nelle aree lombarde, soprattutto di Brescia, Bergamo e Milano. Nelle piccole chiese di queste zone la piccola bambola appare di frequente: la si incontra in una cappella o altare laterale, illuminata da candele votive e spesso circondata da mazzolini di fiori portati dai fedeli. Anche nell’ambiente domestico Maria Bambina è stata per decenni una presenza abituale: sui cassettoni delle camere da letto di nonne e bisnonne, la statuetta di Maria Bambina sotto una campana di vetro era venerata come una reliquia.
Veniva regalata come dono di nozze alle giovani spose dalle donne di famiglia, come augurio di fertilità e prosperità per un lungo matrimonio. E di comò in comò passava alle generazioni successive. L’8 settembre, data della nascita della Vergine, ad Angone di Darfo Boario Terme le Marie Bambine delle donne del paese sfilano sottobraccio alle loro orgogliose proprietarie (oggi reperirne una è quasi impossibile) in una processione silenziosa e devota. Del resto, questo culto ha origini lontane, quando fra il 1720 e il 1730 la monaca francescana Chiara Isabella Fornari di Todi realizzò per iniziativa personale, come segno di devozione alla Madonna, alcuni simulacri in cera di Maria neonata avvolta in fasce. Una di queste effigi nel 1739 venne donata alle suore Cappuccine di Santa Maria degli Angeli a Milano, che ne diffusero il culto nel contesto ambrosiano. Dopo alcune vicissitudini, la statuetta fu trasferita nella casa generalizia delle Suore di Carità di Lovere in via Santa Sofia sempre a Milano, donata a suor Teresa Bosio superiora della comunità. Fu qui, nella sede dell’istituto, che alcuni decenni più tardi, una giovane suora di Lovere gravemente ammalata, secondo quanto riportano dalle fonti documentarie, dopo aver baciato il simulacro, improvvisamente si alzò di scatto urlando «sono guarita!». Da quel momento le religiose della congregazione iniziarono ad essere chiamate «suore di Maria Bambina». Quali sentimenti e ragioni di fede si celino dunque nella diffusa devozione popolare per la piccola Vergine non è difficile intuirlo. Protettrice dai mali e dalle malattie, emblema di marianità feconda e generatrice di vita e speranza, Maria Bambina — in questo tempo di attesa e di veglia, di sofferenze e di paura — rappresenta il simbolo di un grande messaggio di pace, a cui i fedeli si rivolgono per invocare aiuto e misericordia. E, magari, un miracolo.