Arrivano le unità speciali Nelle case da martedì
Tironi: «Saranno il braccio operativo dei medici di famiglia»
Saranno dotati di radiografi portatili e faranno visite domiciliari ai pazienti Covid o ai casi sospetti. È per questo che nascono le «Usca», acronimo di Unità speciale di Continuità assistenziale: camici bianchi, spesso di guardia medica, che andranno a casa delle persone segnalate dai medici di famiglia. La Regione prova così a rispondere alla necessità di fornire assistenza ai tanti contagiati che rimangono nelle loro abitazioni: gli ospedali scoppiano e spesso i pazienti vengono ricoverati solo quando le difficoltà respiratorie sono ormai gravi. E infatti i decessi crescono, anche sotto i 70 anni. Per agire in anticipo nasce l’Unità speciale della Continuità assistenziale: è già partita «lunedì a Bergamo e a
Pavia, ma da martedì sarà operativa anche a Brescia» ha annunciato l’assessore al Welfare Giulio Gallera. «Rappresentano il braccio operativo dei medici di famiglia» aggiunge Simona Tironi, consigliere regionale e vicepresidente della Commissione sanità. Ma come funziona? Per regole interne o mancanza di dispositivi, spesso il medico di famiglia non fa visite a domicilio. Scrive ricette, dispensa consigli e monitora al telefono i pazienti con sintomi sospetti. Li chiama tutti i giorni. Se però ritiene che serva una visita, il medico di famiglia farà intervenire l’Usca. «Faranno dalle sei alle 10 uscite al giorno» dice Gallera. Si organizzano squadre che avranno sede in alcuni dei comuni più colpiti, tra cui Brescia,
Montichiari e Orzinuovi. Ma non si escludono altre zone.
Questi medici avranno con sé dei radiografi con i quali accertare se un paziente ha la polmonite: il coronavirus, infatti, colpisce gli alveoli polmonari, limita gli scambi gassosi e può determinare un repentino peggioramento della funzione respiratoria. I dottori dell’Usca saranno dotati di mascherine e di tutti i dispositivi di sicurezza: «In tal modo – aggiunge Tironi – mettiamo in sicurezza anche i medici di base», che non sono costretti ad uscire. Ad oggi, sul territorio, il 7% dei dottori di famiglia è stato contagiato o è a casa in quarantena.
«Si lavora in trincea, è difficile. Ma tutti i medici di base contagiati — dice Tironi — sono stati sostituiti». Con oltre settemila contagi ufficiali e un sommerso che potrebbe essere anche 5-10 volte più grande, il contenimento del virus a Brescia è una battaglia ancora da vincere. Specie sul territorio, dove mancano mascherine e guanti.
Se qualcosa si muove è grazie alla Fondazione Comunità bresciana, che ha permesso di far arrivare ieri 150 mila mascherine chirurgiche, 20 mila guanti e 10 mila gel. «Sono stati distribuiti a tutto il mondo sociosanitario: case di riposo, Rsd, Hospice, comunità psichiatriche, Smi, Adi. Sono una boccata d’ossigeno per almeno una settimana» spiega il direttore di Ats Claudio Sileo.
Intanto i sindaci tornano a chiedere più sostegno. Lo chiede a gran voce la sindaca di Verolavecchia, Laura Alghisi: nel suo paese (3800 abitanti) in un mese i decessi sono già 20 (di cui solo 8 classificati Covid), mentre a marzo del 2019 c’era stato un solo lutto. «Vanno potenziati i servizi sanitari domiciliari, servono garanzie
Dotati di sistemi di protezione e di radiografi portatili per gli accertamenti
Tironi Con le Usca riusciamo a mettere in sicurezza anche i medici di base che non hanno protezioni
Si lavora in trincea, ma siamo riusciti a sostituire tutti i dottori di medicina generale rimasti contagiati
L’operatività
Tra i 6 e i dieci interventi giornalieri, soprattutto nei comuni più colpiti
per l’approvvigionamento d’ossigeno. Tanti malati hanno il terrore d’andare in ospedale, ma devono essere curati dignitosamente a casa». Rincara la dose Giuseppe Lama, primo cittadino di Borgo S.Giacomo: «Le infermiere del territorio non sono dotate dei presidi di sicurezza. Abbiamo dovuto ricorrere a servizi privati per assistere dei nostri concittadini». Anche Riccardo Canini, sindaco di Dello, chiede «più assistenza. Ufficialmente i positivi a Dello sono una quarantina, ma io ho 400 persone a casa con la febbre. E i medici mi dicono che non c’è più la tradizionale influenza, quindi è quasi certo che abbiano tutti il coronavirus».