Il museo è una creatura viva e pulsante «Non è un luogo di polvere. Il mio pezzo preferito? Un abito del ‘700 della collezione di Mosè Bianchi»
Ilaria De Palma racconta il suo lavoro a Palazzo Morando e Palazzo Moriggia
Il suo ufficio, in via Borgonuovo, è prestigioso almeno quanto quello di re Giorgio. Armani, naturalmente. Che ha sede nell’edificio accanto. Tutte le mattine, quando Ilaria De Palma sale le scale del settecentesco palazzo Moriggia ed entra nella sua stanza con il parquet tirato a cera, i tappeti persiani, i mobili antichi e i libri che tappezzano le pareti, prova quasi soggezione, assicura. La vittoria di un concorso per il ruolo di conservatore l’ha catapultata a 35 anni, nel 2015, al timone del museo del Risorgimento, ospitato al piano terra, e del museo del Costume moda e immagine di Palazzo Morando di via sant’Andrea, altro luogo magico.
Consigli per chi vuole emularla nella carriera?
«Avere molta pazienza e studiare. Il requisito d’accesso per i concorsi di conservatore è la specializzazione post laurea, ma bisogna continuare a prepararsi su materie al di fuori della storia dell’arte. Occorre imparare a fare il bilansua cio, amministrare un budget, acquisire nozioni di diritto pubblico per capire come funzionano gli enti locali. E più lingue si conoscono e si parlano meglio è».
Quando ha deciso che voleva lavorare nei musei?
«Molto presto, durante uno stage con Francesca Tasso al Museo di arti decorative del Castello. Fu lei a suggerirmi di iscrivermi alla scuola di specializzazione. Intanto facevo diversi lavoretti di collaborazioni. Poi ho vinto il concorso per diventare custode alla Pinacoteca di Brera dove ho lavorato quattro anni: lì, osservando il pubblico per lunghe ore, ho imparato come funzionano sicurezza e vigilanza. Adesso so dove più servono allarmi e telecamere. E capisco bene le esigenze dei custodi: forse per questo non ho problemi sindacali».
Quali sono i pezzi che più ama dei suoi musei?
«L’enorme quadro di Domenico Induno “Il bollettino della pace di Villafranca”: un’opera bellissima che narra la storia dal punto di vista umano attraverso le reazioni del popolo alla notizia della pace; non una battaglia. Di Palazzo Morando sono invece affezionata a un sontuoso abito del ’700 della collezione di Mosè Bianchi, pittore ottocentesco che aveva una raccolta di abiti d’epoca con cui ritraeva le modelle in stile Settecento. Con quest’abito immortalò colei che divenne moglie».
Sono maggiori le difficoltà amministrative o quelle legate alla tutela?
«Io sento soprattutto il peso della responsabilità di tramandare al meglio, attraverso la comunicazione e la valorizzazione, un patrimonio importantissimo. Il museo deve essere una creatura viva, non un luogo di polvere. La parte amministrativa, invece, non è un problema: sai come sono le regole e ti ci attieni».
In questi mesi di chiusura come avviene la manutenzione delle opere?
«La vigilanza è continua e io intervengo su segnalazione di eventuali problemi. In vista della riapertura, cercheremo assieme ai custodi nuove soluzioni per le scolaresche e i gruppi».
Nei ruoli di project manager degli eventi «Leonardo mai visto» al Castello e di cocoordinatrice del palinsesto «Leonardo 500», ha notato differenze con i colleghi stranieri?
«All’estero gli organigrammi sono molto più ampi. Ma i musei italiani riescono a ottenere lo stesso risultati eccellenti e questo ci rende orgogliosi».
Che cosa farebbe apparire con una bacchetta magica?
«Più spazi per i depositi visitabili in modo da valorizzare le collezioni. Sto lavorandoci, anche senza magie».