L’allerta di Galli: essere pronti per l’autunno
A ottobre potrebbe arrivare una seconda ondata di pandemia e anche Brescia deve farsi trovare pronta, con una struttura dedicata al Covid, meglio se esterna agli ospedali. Parola di Massimo Galli, virologo del Sacco di Milano, che punta il dito contro il mancato monitoraggio del personale dentro le case di riposo, critica l’insufficiente diagnostica sul territorio (a partire dai tamponi) fatta dalla Lombardia e auspica che si parta il prima possibile con i test sierologici per «accompagnare la fase di ripartenza».
Dobbiamo prepararci ad una potenziale seconda ondata epidemica, ad ottobre. Per questo non sarebbe male individuare strutture esterne agli ospedali da riconvertire. E si deve accelerare sull’uso dei test sierologici, per poter accompagnare il ritorno nei luoghi di lavoro di migliaia di lombardi. Ne è convinto Massimo Galli, direttore del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, ricercatissimo in questi giorni da televisioni e giornali.
Professore, a Brescia vogliono realizzare un reparto Covid dentro gli Spedali Civili, che ne pensa?
«Non conosco il progetto e quindi non posso fare valutazioni. Posso dire che, anche se i contagi sono in calo, le soluzioni da valutare devono tenere conto delle proiezioni future e di una possibile seconda ondata ad ottobre. Questa epidemia ci costringe a riorganizzare la rete sanitaria. Non sarebbe male avere una struttura esterna all’ospedale convertibile al bisogno. Dobbiamo prepararci al peggio pensando al meglio».
A Brescia, come a Bergamo abbiamo quasi 10 mila positivi e oltre 1700 morti. Si poteva agire con più rapidità sull’individuazione di «zone rosse»?
«Io ho sempre avuto una posizione molto più interventista. Avremmo potuto tentare di svolgere più indagini epidemiologiche anche se va detto che l’epidemia era in una fase così avanzata che era difficile fermarla. Ad ogni modo credo che fosse opportuno fare un’operazione a più largo spettro per intercettare quelle persone che poi sono arrivate in ospedale in condizioni troppo critiche. Ora si deve agire sul territorio: tanta gente si sta passando l’infezione in famiglia, stando in casa».
Cosa si poteva fare per prevenire l’ecatombe nelle case di riposo?
«È un tema molto doloroso. Andava adottato un monitoraggio obbligatorio rigidissimo sul personale che in modo inconsapevole ha portato il virus dentro le Rsa. Questo non è stato fatto ed i numeri drammatici sono lì da vedere».
Questione test sierologici: lei sostiene che debbano partire il prima possibile.
«Ma certo. Non perderei altro tempo. Sono tutt’altro che perfetti ma ti danno una risposta dopo 10 minuti. Per organizzare la ripresa dobbiamo sapere qual è la condizione della gente, se ha sviluppato anticorpi. Certo servono anche i tamponi che devono essere garantiti a molte più persone».
Il modello Veneto insomma...
«Lombardia e Veneto sono governate dalla stessa maggioranza ma hanno avuto un approccio completamente diverso e le contraddizioni sono evidenti. Vero è che la situazione nel Veneto era meno problematica ma anche da noi si poteva gestire meglio se avessimo avuto più diagnostica sul territorio».