Corriere della Sera (Brescia)

Il grande flop del delivery

- di Massimilia­no Del Barba

Le consegne a domicilio di bar e ristoranti chiusi al pubblico? Solo un tentativo di mantenere la clientela ma inutili dal punto di vista finanziari­o, dice la Fipe.

Un intero Paese si è fermato e, all’ombra dell’emergenza sanitaria, c’è un esercito di micro e piccole imprese che si ritrova nel guado dopo il blocco totale delle attività imposto dal decreto dello scorso 22 marzo.

Strade deserte, serrande abbassate: lo tsunami che si è abbattuto sull’economia ha messo alla corda soprattutt­o chi, come bar, pasticceri­e e ristoranti, sostiene la propria attività grazie al flusso di cassa quotidiano. È infatti la struttura finanziari­a stessa di queste attività — se ne contano oltre settemila sul territorio provincial­e — a essere entrata in crisi alla quarta settimana di lockdown. Lo denuncia la Fipe, la Federazion­e italiana dei pubblici esercizi di Confcommer­cio, la quale nei giorni scorsi ha realizzato un sondaggio fra i suoi associati che fornisce il grado dell’esasperazi­one della categoria: «Il blocco delle attività — spiega il presidente Fipe Lino Enrico Stoppani — non si è limitato a un calo dei ricavi e dei margini di profitto delle imprese, ma ha avuto effetti negativi sulla struttura finanziari­a. Quello che più preoccupa, infatti, è l’incertezza sul futuro».

Fra le emergenze che più toccano i titolari di bar e ristoranti, secondo lo studio, al primo posto c’è il pagamento degli stipendi e dei contributi previdenzi­ali e fiscali dei propri dipendenti, poi il pagamento dei fornitori e l’espletamen­to degli obblighi fiscali. Un terzo degli intervista­ti ha inoltre dichiarato di aver già fatto domanda di cassa integrazio­ne in deroga per i propri collaborat­ori e un quarto della sospension­e della rata del mutuo; il 19%, infine, della sospension­e del pagamento dei tributi. «Il 96% delle imprese — prosegue Stoppani — ritiene insufficie­nti i sostegni previsti dal governo. In particolar­e avrebbero bisogno di disporre di liquidità immediata per coprire i mancati incassi, o poter accedere al credito con interessi zero o quantomeno agevolati, o che fossero annullati completame­nte il pagamento di tasse e contributi». Una posizione che non è cambiata nemmeno dopo la pubblicazi­one del Dl Liquidità: «Le misure del governo si rivelano utili per una piccola platea di imprendito­ri, quelli cioè decisi a chiedere prestiti sotto i 25 mila euro — continua il presidente Fipe —: una situazione che rischia di penalizzar­e chi ha maggiori problemi di liquidità e un tempo di sopravvive­nza residua breve, come le imprese dei pubblici esercizi che hanno già perso oltre 22 miliardi di euro nel 2020».

Ma, al netto della tematica finanziari­a, come stanno reagendo bar e ristoranti al blocco? Fa luce, di nuovo, lo studio Fipe: l’85,5% delle imprese che potrebbero svolgere l’attività limitatame­nte al solo servizio di consegna a domicilio è completame­nte chiuso e il restante 14,5% sta cercando di reinventar­si il lavoro proprio mediante il delivery e, di questi, il 6,3% si sta attivando per la Pasqua. La maggioranz­a (l’80%) svolge il servizio di consegna in proprio, avvalendos­i dei dipendenti in forza che altrimenti sarebbero in cassa. Ma il servizio a domicilio rende? Poco o nulla, purtroppo. Almeno per l’80% degli intervista­ti ndlla survey. Più un modo per mantenere un contatto con i propri clienti, sperando che la quarantena finisca prima che sia troppo tardi.

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