Il grande flop del delivery
Le consegne a domicilio di bar e ristoranti chiusi al pubblico? Solo un tentativo di mantenere la clientela ma inutili dal punto di vista finanziario, dice la Fipe.
Un intero Paese si è fermato e, all’ombra dell’emergenza sanitaria, c’è un esercito di micro e piccole imprese che si ritrova nel guado dopo il blocco totale delle attività imposto dal decreto dello scorso 22 marzo.
Strade deserte, serrande abbassate: lo tsunami che si è abbattuto sull’economia ha messo alla corda soprattutto chi, come bar, pasticcerie e ristoranti, sostiene la propria attività grazie al flusso di cassa quotidiano. È infatti la struttura finanziaria stessa di queste attività — se ne contano oltre settemila sul territorio provinciale — a essere entrata in crisi alla quarta settimana di lockdown. Lo denuncia la Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi di Confcommercio, la quale nei giorni scorsi ha realizzato un sondaggio fra i suoi associati che fornisce il grado dell’esasperazione della categoria: «Il blocco delle attività — spiega il presidente Fipe Lino Enrico Stoppani — non si è limitato a un calo dei ricavi e dei margini di profitto delle imprese, ma ha avuto effetti negativi sulla struttura finanziaria. Quello che più preoccupa, infatti, è l’incertezza sul futuro».
Fra le emergenze che più toccano i titolari di bar e ristoranti, secondo lo studio, al primo posto c’è il pagamento degli stipendi e dei contributi previdenziali e fiscali dei propri dipendenti, poi il pagamento dei fornitori e l’espletamento degli obblighi fiscali. Un terzo degli intervistati ha inoltre dichiarato di aver già fatto domanda di cassa integrazione in deroga per i propri collaboratori e un quarto della sospensione della rata del mutuo; il 19%, infine, della sospensione del pagamento dei tributi. «Il 96% delle imprese — prosegue Stoppani — ritiene insufficienti i sostegni previsti dal governo. In particolare avrebbero bisogno di disporre di liquidità immediata per coprire i mancati incassi, o poter accedere al credito con interessi zero o quantomeno agevolati, o che fossero annullati completamente il pagamento di tasse e contributi». Una posizione che non è cambiata nemmeno dopo la pubblicazione del Dl Liquidità: «Le misure del governo si rivelano utili per una piccola platea di imprenditori, quelli cioè decisi a chiedere prestiti sotto i 25 mila euro — continua il presidente Fipe —: una situazione che rischia di penalizzare chi ha maggiori problemi di liquidità e un tempo di sopravvivenza residua breve, come le imprese dei pubblici esercizi che hanno già perso oltre 22 miliardi di euro nel 2020».
Ma, al netto della tematica finanziaria, come stanno reagendo bar e ristoranti al blocco? Fa luce, di nuovo, lo studio Fipe: l’85,5% delle imprese che potrebbero svolgere l’attività limitatamente al solo servizio di consegna a domicilio è completamente chiuso e il restante 14,5% sta cercando di reinventarsi il lavoro proprio mediante il delivery e, di questi, il 6,3% si sta attivando per la Pasqua. La maggioranza (l’80%) svolge il servizio di consegna in proprio, avvalendosi dei dipendenti in forza che altrimenti sarebbero in cassa. Ma il servizio a domicilio rende? Poco o nulla, purtroppo. Almeno per l’80% degli intervistati ndlla survey. Più un modo per mantenere un contatto con i propri clienti, sperando che la quarantena finisca prima che sia troppo tardi.