L’ostello diventa clinica per i disabili
Da ostello per turisti a casa per i disabili rimasti contagiati da coronavirus e di difficile gestione in famiglia. Il progetto «accoglienza Covid-19» di Fobap è stato sostenuto dalla Fondazione della comunità bresciana e ha ricevuto il via libera dall’Ats: sono stati creati 10 posti in totale nella villa a Toscolano Maderno, 8 dei quali sono già occupati. Gli ospiti vengono seguiti ventiquattro ore su ventiquattro da personale infermieristico che ha in dotazione tutti gli strumenti di protezione persona per evitare contagi.
Il lungo corridoio parte dall’ingresso e punta dritto alla terrazza vista lago, un passo dopo l’altro sulla destra si aprono le stanze degli ospiti («non li chiamiamo pazienti»): Simone è seduto al tavolo, Giulio riposa sul letto, c’è chi guarda il sole fuori e chi osserva le operatrici, chi ascolta musica e chi fissa i propri pensieri.
Incollate ai muri si leggono ancora le «regole» per chi veniva in vacanza, «ridere spesso, fare ciò che si ama, pulire scarpe e zampe prima di entrare» insieme a quelle di oggi, appese ovunque come promemoria per il personale: «Rispettare le procedure di sicurezza», «entrare solo con i dispositivi di protezione», «lavarsi le mani».
L’ostello Villa Dalla Rosa di
Toscolano Maderno, gestito da Fobap, è diventato un reparto Covid per persone disabili: di turisti non se ne vedranno per molto tempo, e la necessità di garantire un’assistenza adeguata ai disabili ha portato a convertire l’ostello in reparto per chi presenta i sintomi dell’infezione o è risultato positivo al test. «Oggi mi sento bene» dice Simone, poi sintetizza la routine che scandisce le sue giornate: «Doccia colazione denti pranzo cena».
Non c’è molto altro da fare, qui si viene per guarire e per evitare di contagiare gli altri: molti ospiti arrivano da strutture residenziali per disabili, qualcuno da una segnalazione dell’ospedale Civile, per completare il percorso di guarigione dopo le dimissioni. «C’era la necessità di avere una struttura dedicata a queste persone, che hanno gli stessi rischi degli altri — spiega Simone Antonioli, direttore tecnico Fobap — ma sono più fragili e non sanno gestire autonomamente tutte le pratiche di igiene e prevenzione, quindi aumentano il rischio di contagio per operatori e familiari».
Il progetto «accoglienza Covid-19» è stato sostenuto dalla Fondazione della comunità bresciana e ha ricevuto il via libera dall’Ats: 10 posti in totale, 8 dei quali occupati. Il responsabile sanitario è Pierantonio Bulgari, con lui gli operatori Fobap e gli infermieri dello studio infermieristico RS associati: «Alla base della collaborazione — spiega Fabio Stanga, uno dei titolari dello studio — c’è uno scambio di competenze: da una parte gli infermieri che non conoscevano direttamente la disabilità, dall’altra gli operatori, che hanno rapidamente imparato ad attuare tutte le procedure di sicurezza necessarie per la gestione dei pazienti Covid».
Nelle residenze sanitario assistenziali (rsd) per disabili, una decina in tutta la provincia, continuano le attività ordinarie, e il rischio è che diventino nuovi focolai del contagio. E in alcune strutture è già successo.
«All’inizio dell’emergenza — continua Antonioli — siamo stati lasciati soli, senza indicazioni e senza dispositivi di sicurezza. Adesso per fortuna le cose stanno cambiando».
A pochi metri dall’ostello si trova l’imponente villa Zanardelli, che oggi accoglie 28 persone: «Erano 29 ma purtroppo il nostro Pietro, 72 anni, ci ha lasciati pochi giorni fa. È stato l’unico morto per coronavirus nelle nostre strutture. Aveva una grande allegria, ci mancherà molto» spiega Valter Chiari, responsabile della rsd sempre gestita da Fobap. Nel salone si guarda la tv, scampoli di una quotidianità anche qui stravolta: la solitudine, l’assenza dei familiari che non possono più entrare in visita, le uscite sospese, la normalità dell’esistenza ridotta ai minimi termini.
«Tutto è cambiato di punto in bianco: gli ospiti si sono trovati isolati, senza poter uscire, senza vedere le famiglie e limitando anche i contatti con gli operatori, e tutto questo senza capire perché. Possiamo dire che anche loro hanno sopportato fin troppo bene questa segregazione. Solo oggi — conclude Chiari — iniziano a mostrare segni di cedimento. La speranza che la situazione migliori c’è, anche se un vero cambiamento sembra ancora lontano».