I «figliocci» ricordano il loro Bartali
Il ricordo di Dancelli e Sorlini, figliocci bresciani: «Esempio di vita»
"Dancelli Quando parlava e raccontava le storie del passato rimanevo ore ad ascoltarlo a bocca aperta. A guardarlo imparavi
"Sorlini Era un uomo eccezionale, a me, da poco professionista insegnò come comportarmi sia nel ciclismo che nella vita
teneva concione fra una sigaretta e un bicchiere di vino. La qualità di Gino prediletta da Sorlini? La sincerità. «Non le mandava a dire» ricorda il ciclista di Darfo «ti diceva le cose come stavano senza giri di parole. La cosa sorprendente però era che poi ti rendevi conto essere cose giuste. Aveva l’età di mio padre e sotto questa luce l’ho sempre visto».
Michele Dancelli da Castenedolo ha raccolto 13 vittorie tra il 1967 e il 1968 quando vestì le maglie di Vittadello e Pepsi Cola. In quel periodo, Gino Bartali era il consulente del direttore sportivo Gianfranco Dal Corso e spesso prendeva Dancelli sottobraccio spiegandogli come doveva fare per vincere le corse. «Ricordava esattamente tutti i percorsi delle gare fatte» rammenta Dancelli «Spesso corrispondevano ai percorsi che dovevo affrontare e così mi descriveva la strada per filo e per segno indicandomi i punti dove attaccare e quelli dove fare attenzione». Dancelli, nato nel 1942, è cresciuto con il mito di Fausto Coppi ma la sua percezione di Bartali cambiò una volta conosciuto il vecchio campione. «Quando parlava e raccontava le storie del passato rimanevo ore ad ascoltarlo a bocca aperta. Nel 1968 ci stavamo allenando in pista a Noto, in Sicilia. Improvvisamente Bartali prese la mia bicicletta e iniziò a pedalare. Avevo le lacrime agli occhi, morivo dalla curiosità di vederlo sulla bici dopo aver sentito tutte le sue imprese. Imparavi solo guardandolo». Spesso però il carattere dell’esperto cozzava con l’irrequietezza del giovane: «Mi diceva sempre di essere più attendista quando andavo in fuga. Io volevo recuperare subito i distacchi con un’accelerata tremenda mentre Bartali mi consigliava di essere più paziente e diluire lo sforzo. Io però non riuscivo a resistere: volevo entrare subito nelle fughe». Il carattere, d’altro canto, non si cambia. Così come quello di Bartali che dietro la scorza di toscano fegatoso nascondeva un’anima buona e altruista. Perché, come ripeteva lui stesso «il bene si fa ma non si dice».