Brescia, il via in frenata
Cè voglia di ripartire fra gli imprenditori, ma preoccupa il calo dei consumi interni che sostiene la domanda
Sono quasi 100 mila le imprese che da ieri hanno ormai riaperto i battenti, per un totale di 250 mila dipendenti. Ma non si tratta di una ripartenza in grado di saturare gli impianti. Pesano infatti le misure adottate per arginare la propagazione del virus e, soprattutto, il calo della domanda interna.
Il termometro dell’A4. La fine del lockdown potrebbe essere raccontata dall’aumento esponenziale del traffico medio e pesante sulla grande arteria che taglia a metà la provincia di Brescia. Un colpo d’occhio che conferma il dato della Prefettura di Brescia, secondo cui da ieri sono 96 mila le aziende manifatturiere tornate alla normalità (nel novero, oltre ai settori “liberati”, anche 14 mila imprese in deroga, di cui 4 mila già controllate dalla Prefettura).
O, meglio, tornate a una semi-normalità. Incombono infatti sul Sistema Brescia una costante e una variabile. La costante è data dal mantenimento delle misure di sicurezza negli stabilimenti per il contenimento del virus, che hanno impegnato gli imprenditori nel ripensare layout, accessi e organizzazione interna e che si traducono in un fisiologico decremento della produttività. La variabile, invece, è quella del mercato: se infatti sembra fugato il” rischio sostituibilità” per i supplier delle filiere internazionali, due mesi di fermo hanno però inciso pesantemente sulla propensione ai consumi interni (-85% a marzo secondo Ey), mentre le voci su un secondo
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«La situazione è eccezionale e mi auguro che l’emergenza economica non diventi emergenza sociale» conferma il presidente di Aib, Giuseppe Pasini. La sua azienda, la Feralpi di Lonato, ieri ha riaperto, ma forni e laminatoi girano al 50%. Percentuale che crescerà nelle prossime settimane, ma che difficilmente arriverà a saturazione prima dell’estate. Stessa situazione a Ghedi per la Cromodora Wheels del past-president della territoriale di Confindustria Giancarlo Dallera: «Lavoriamo su un turno — spiega — e il futuro è parecchio nebuloso poiché le case
automobilistiche che noi serviamo sono rimaste ferme e oggi hanno i piazzali pieni di auto che non hanno venduto ad aprile».
Si avvera, insomma, la previsione dell’Ufficio studi di Aib, secondo cui la ripartenza, se ci sarà, sarà lenta e graduale. Propedeutico alla semi-normalità, comunque, il lavoro della Prefettura nella realizzazione del Protocollo sicurezza, condiviso da datori di lavoro e sindacati, che ha definito responsabilità, regole e compiti all’interno dei posti di lavoro. È infatti grazie a quel documento che le aziende bresciane hanno potuto prepararsi nei giorni scorsi al nuovo scenario. Così ad esempio all’Omr di Rezzato: «Settimana scorsa abbiamo iniziato gradualmente a lavorare con le nuove regole concentrandoci sulla sicurezza dei lavoratori e oggi (ieri, ndr) siamo ripartiti al 90%» racconta Marco Bonometti. Passaggio, secondo il presidente di Confindustria Lombardia, che ormai la maggioranza delle aziende bresciane ha completato. «Le fabbriche sono diventate il luogo più sicuro, i contagi nelle aziende sono infatti al di sotto dell’1%». La tesi di Bonometti è che il settore produttivo abbia fatto tutto ciò che doveva fare «e anche di più». Ora però dal governo «servono aiuti concreti e immediati per mantenere la sostenibilità operativa e finanziaria delle filiere, soprattutto per gli anelli più deboli, vale a dire i piccoli fornitori».
Pmi che, sottolinea il presidente di Apindustria Douglas Sivieri, «ora hanno bisogno di una semplificazione burocratica nell’ottenimento dei finanziamenti promessi da Roma e di una certezza normativa circa le responsabilità penali di eventuali contagi in azienda, dopo l’inclusione da parte dell’Inail del Covid-19 nel novero delle malattie sul lavoro. Difficile, credo, definire dove una persona abbia contratto la malattia». Anche per Sivieri, tuttavia, è l’incertezza sulla congiuntura futura a spaventare gli imprenditori. «In questi giorni — conclude — le aziende hanno approfittato del blocco per innovare la propria organizzazione, soprattutto per quanto riguarda lo smart working, e questo è un bene. Più preoccupante la questione degli investimenti in nuovi macchinari e in Ricerca&Sviluppo. Ci servono certezze, e oggi non le abbiamo».