BARTALI VENT’ANNI DALLA SCOMPARSA
«Cosa ci affanniamo a fare se tanto l’ultimo vestito è sempre senza tasche?» era solito dire Gino Bartali che, per le sue celebri frasi, attingeva spesso da quel profondo pozzo di saggezza che sono i detti popolari. Quell’ultimo vestito senza tasche, Gino Bartali lo indossò il 5 maggio del 2000, venti anni esatti fa, quando fu stroncato da un infarto mentre si trovava in casa a Firenze. Bartali, l’omino di ferro come veniva soprannominato, in vita è stato tante cose. Un ciclista vincente innanzitutto (90 vittorie in carriera, tre Giri d’Italia e 2 Tour de France in bacheca), un idolo delle masse (storica la rivalità con Fausto Coppi che divise l’Italia post bellica), una persona straordinariamente altruista (è stato insignito del riconoscimento «Giusto tra le nazioni» per aver fornito documenti falsi agli ebrei salvandoli dall’olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale) e persino un inviato al Giro per il Corriere della Sera. Ma Gino Bartali, una volta appesa la bici al chiodo, è stato anche un direttore sportivo e, proprio in questa veste, ha intersecato la sua attività in ammiraglia con le sorti di due ciclisti bresciani del passato i quali tratteggiano un profilo del Ginettaccio spesso oscurato da quello ben più fulgido del Bartali corridore.
Roberto Sorlini vive a Darfo dove si dedica a tempo pieno all’attività di nonno. Negli anni ‘70 è stato però un preziosissimo gregario di Francesco Moser e nel 1971, fu ingaggiato dalla Cosatto per correre agli ordini del direttore sportivo Gino Bartali. «Era un uomo eccezionale, a me che ero da poco passato professionista insegnò come comportarmi sia nel ciclismo che nella vita di tutti i giorni» racconta Sorlini che ricorda le tante sere dopo le corse trascorse a chiacchierare, con Bartali che