Esiste un legame tra le Pm10 e gli effetti nefasti del Covid? Iss e Ispra cercano risposte
Lo smog aumenta il rischio di infezioni polmonari
Alla ricerca del possibile legame tra inquinamento atmosferico ed effetti nefasti del coronavirus. Ad annunciare lo studio epidemiologico sono l’Istituto superiore di sanità (Iss) e l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Obiettivo dello studio è valutare se e in che misura i livelli di inquinamento atmosferico siano associati agli effetti sanitari dell’epidemia. Il tema è dibattuto da tempo: prima Wuhan, poi la Lombardia e la Pianura Padana, a seguire Londra, Madrid, New York, le zone maggiormente colpite dall’epidemia e con il numero più elevato di vittime.
Tutti grandi agglomerati urbani ed umani, ad alta densità di popolazione e di relazioni, ma anche tutte aree con alti tassi di inquinamento.
A titolo di esempio, restando a Brescia, nei primi due mesi dell’anno la centralina del Broletto è riuscita ad inanellare venti superi di polveri fini rispetto ai limiti.
A marzo è andata meglio ovviamente, ma come è noto è stato tempo di confinamento diffuso. Di qui a dire che il coronavirus è attratto dalle polveri ce ne passa, ma una riflessione sulle connessioni possibili invece è un’altra cosa. In una nota Iss-Ispra si ricorda che la propagazione della pandemia ha innescato ovunque nel mondo una intensa attività di ricerca nel settore della prevenzione e nel campo terapeutico-assistenziale, «anche per comprendere meglio il processo di trasmissione virale e i possibili fattori sociali ed ambientali che possano contribuire a spiegare le modalità di contagio e la gravità e prognosi dei quadri sintomatologici e patologici associati all’infezione da virus SarsCov-2».
È in tale contesto che è emersa la necessità di studiare le possibili connessioni tra esposizione a particolato atmosferico ed epidemia.
Il punto di partenza dello studio è legato al fatto che l’inquinamento atmosferico aumenta il rischio di infezioni delle basse vie respiratorie, particolarmente in soggetti vulnerabili, quali anziani e persone con patologie pregresse.
Sono condizioni queste che caratterizzano anche l’epidemia di Covid-19. L’ipotesi è quindi che un incremento nei livelli di polveri fini nell’aria renda il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione e alle complicazioni della malattia da coronavirus.
Lo studio sarà necessariamente multidisciplinare, dall’epidemiologia ambientale alla tossicologia passando per le competenze chimicofisiche e meteorologiche, e metterà a confronto le diverse aree del Paese interessate dall’epidemia.
"Ispra È doveroso dare una conferma, per quel che ci riguarda, tecnicoscientifica
Il tutto dovrà essere associato a fattori quali età, genere, presenza di patologie preesistenti alla diagnosi di COVID-19, fattori socio-economici e demografici, tipo di ambiente di vita (città, campagna, prossimità ad attività produttive).
«Una sfida per la conoscenza sotto molteplici punti di vista», secondo l’Iss.
«Il presunto legame tra Covid19 e inquinamento è argomento divenuto quotidiano nel dibattito mediatico e non solo —sottolinea l’Ispra —, suscitando da più parti teorie ed ipotesi che è giusto approfondire ed a cui è doveroso dare una conferma, per quel che ci riguarda, tecnicoscientifica».
Il lancio di questo studio epidemiologico segue l’avvio di un altro studio (Pulvirus) promosso da Enea, Iss e Ispra che ha l’obiettivo di valutare le conseguenze del confinamento a casa sull’inquinamento atmosferico e sui gas serra e le interazioni fra polveri sottili e virus.
In attesa dei risultati delle due ricerche, l’esperienza quotidiana di ognuno (non sufficiente, ovviamente, come suggerisce l’osservazione del sole) dice già che a marzo l’aria che si respirava è stata senz’altro migliore, ad eccezione dell’ultimo fine settimana e per colpa dei venti che portavano fin qui (e in tutta Italia) le polveri del deserto. Una magra soddisfazione, confermata anche dalle centraline in città e in provincia che hanno fatto registrare un crollo di polveri fini in atmosfera.