La partigiana che rinnovò la scuola
Alba Dell’Acqua Rossi, militante della Resistenza e pioniera della didattica scientifica Laureata in matematica, introdusse l’insiemistica e fino al 1979 fu in cattedra al liceo «Leonardo»
«Il suo nome fu scelto dopo la disfatta di Caporetto nel segno della speranza»
Si cresceva in fretta una volta, e si sapeva da che parte stare. Alba cresce a 12 anni, quando gli squadristi fanno irruzione in casa e bruciano i libri di suo padre, anarchico pacifista e invalido di guerra: diventa antifascista e non solo. Le vicende di Alba Dell’Acqua Rossi (Milano 1917-2011), custodite con amore dalla figlia Livia, val la pena di conoscerle. «Era nata il giorno della disfatta di Caporetto, il suo nome fu scelto proprio a causa dell’esito catastrofico della battaglia». Un nome nel segno della speranza e del cambiamento, valori che Alba non ha mai tradito impegnandosi lungo due traiettorie costanti e parallele: l’impegno politico e civile e l’impegno nella scuola, dove è stata una pioniera dell’innovazione didattica nelle materie scientifiche.
Si laurea in matematica nel ’39 e intanto già insegna in un liceo di Varese: si distingue perché rifiuta di allontanare dalle lezioni gli allievi ebrei. Nel ’43 vince la cattedra al Sud, ma non può raggiungerla perché l’Italia è spaccata in due: sceglie allora per la Resistenza. Agisce a Milano con vari incarichi, continuando poi l’attività in Valsesia. «Lì nel ’44 è sfuggita per miracolo a una retata tedesca», racconta Livia, «Mio padre Pino Rossi, primario ostetrico a Varallo Sesia divenuto in seguito medico dei partigiani, ha mandato un amico a prenderla in auto e l’ha salvata all’ultimo istante». Tra Pino e Alba, che intanto si è trasformata nel braccio destro del dottore, nasce un amore che sfocerà in matrimonio partigiano nel marzo del ’45: nel frattempo passano in Valdossola, curano i feriti in ogni condizione, anche nelle grotte, si rifugiano in Svizzera dove sono internati in campi diversi, vivono peripezie «degne di un romanzo di Dumas», come sottolinea ancora Livia. «Molti anni dopo mia madre ha detto che chi aveva fatto l’esperienza della lotta partigiana poteva affrontare qualsiasi difficoltà nella vita». Proprio in Svizzera nasce tra i prigionieri l’idea di fondare dopo la Liberazione una scuola speciale, per riprendere gli studi interrotti dalla guerra: è l’embrione dei «Convitti della Rinascita», che apriranno nel 1945 a Milano e in altre città, scuola sperimentale aperta a tutti ma soprattutto a figli di partigiani, orfani, reduci dai campi di sterminio. In questa nuova esperienza, Alba è ancora in prima fila: insegna matematica e fisica, ma in realtà lavora e si coinvolge tutto il giorno, talvolta anche la sera. Qui viene contattata da un ricercatore inglese che promuove un metodo efficace e moderno, il progetto Nuffield: partendo dal motto «se faccio capisco», i concetti matematici, in particolare la teoria degli insiemi, si fanno emergere dalle esperienze degli studenti. Alba aderisce con l’entusiasmo e il rigore che le sono propri, introducendo la nuova pratica in Italia: inizia da qui il suo successo come scrittrice di testi scolastici e saggi.
Dal 1948 al ’79 è stata in cattedra al Liceo Scientifico Leonardo da Vinci, ma ha anche promosso il diritto allo studio con le «150 ore», ha tenuto corsi ai bambini Rom, si è battuta per l’evoluzione democratica della scuola. Non solo docente, ma formatrice di nuove generazioni attive e responsabili. Donna e scienziata che ha saputo trasmettere i valori veri della vita.
In Valsesia
Nel ‘44 sfuggì a una retata tedesca grazie a colui che sarebbe diventato suo marito