IL MANCATO AIUTO DEL VENETO
Perché il Veneto non ha soccorso la Lombardia nelle ore più drammatiche dell’emergenzaCovid? Perché quasi nessun paziente lombardo è stato accolto in Veneto mentre i C 130 dell’Aeronautica militare italiana e persino della Bundeswehr portavano decine di pazienti lombardi tracheotomizzati e intubati in mezza Europa, da Lipsia a Palermo, dalla Baviera alla Puglia? Man mano il dramma della pandemia da coronavirus comincia a raffreddarsi, questa è una delle domande che affiorano con prepotenza. Il quesito era stato sollevato direttamente dal deputato bresciano del Pd, Alfredo Bazoli, che annuncia un’interrogazione parlamentare, ma anche dal sindaco di Brescia Emilio Del Bono che — ospite in tv da Fabio Fazio — ha chiesto se ancora esista un servizio sanitario nazionale. L’appello lanciato il 27 marzo dai Primari di terapia intensiva della Lombardia suona ancora oggi come una denuncia inascoltata. I firmatari chiedevano di «considerare prioritari i criteri di vicinanza geografica superando i confini fra regioni per il ricovero dei pazienti Covid, nello spirito di un’emergenza sanitaria nazionale». Il loro appello è caduto nel vuoto. Eppure proprio il Veneto guidato da Luca Zaia è diventato rapidamente un esempio di un modo corretto ed efficace per affrontare l’emergenza-coronavirus, circoscriverne la diffusione, arginarne il contagio. Il Veneto s’è anche attrezzato a reggere un eventuale urto di pazienti gravemente ammalati presso le proprie strutture ospedaliere. Il quadro è stato precisato in una documentatissima inchiesta di Annalisa Mancini per il giornale online Verona In. Il 15 marzo il Veneto (che ha la metà degli abitanti della Lombardia) approva un Piano di emergenza che punta a dotare la regione di 331 nuovi posti letto di Terapia intensiva oltre ai 494 già esistenti, arrivando a 825 posti letto. Non tutto viene realizzato istantaneamente: al 26 marzo i posti in Terapia intensiva effettivamente disponibili in Veneto risultano 713 (quelli occupati sono 408, il 57%) ma il piano è completato pochi giorni dopo, il 30 marzo.
Ma quanti posti vengono effettivamente occupati? Il 31 marzo uno studio della Luic Business school rivela un tasso di saturazione delle terapie intensive del 44,6% in Veneto e del 124,0 % in Lombardia. Gli effetti si vedono nei dati della ospedalizzazione dei pazienti Covid.
La piattaforma ProSafe a metà marzo indica che su 1.708 pazienti Covid ammessi in 92 reparti di Terapia intensiva in tutta Italia il 38,4% si trova in Lombardia, il 3,5% in Veneto. Dal 23 marzo al 5 aprile la Centrale remota per le operazioni di soccorso sanitario (la Cross) che dal 7 marzo è il soggetto a cui le autorità sanitarie si rivolgono in casi di emergenza e di saturazione degli ospedali, ha smistato 116 pazienti lombardi, spesso in condizioni critiche, verso altre regioni o altri stati, come la Germania. Il 9 aprile i pazienti provenienti da fuori regione e ricoverati nelle Terapie intensive del Veneto attraverso la Cross erano 10, di cui cinque infetti da Covid-19 e 5 per altre patologie. Neppure si può dire che ambulanze e mezzi privati abbiano preso d’assalto ospedali di confine come quello di Peschiera dove (alla data del 28 marzo) su 64 pazienti Covid-19 accolti, solo 16 provenivano dal basso Mantovano e dal Bresciano. Dall’1 aprile i pazienti Covid19 ricoverati nelle terapie intensive venete iniziano a calare mentre in quelle lombarde continuano a crescere, passando dai 1.324 del 31 marzo ai 1.381 del 3 aprile.
Eppure il soccorso non scatta. Il 30 marzo
Zaia invita a non alimentare la polemica e ricorda i pazienti bresciani che si sono recati direttamente presso ospedali veneti. Ma il dato di Peschiera, che abbiamo già citato, riduce la casistica a poche unità.
La Regione che ha dato lezioni a tutta Italia su come circoscrivere l’epidemia, e che ha messo in campo un formidabile potenziamento delle proprie Terapie intensive, si trova con una sovra-dotazione di posti-letto ma non soccorre i vicini lombardi neppure quando appare evidente che – a casa propria – l’epidemia arretra. Il Mincio diventa un confine pressoché invalicabile per le nostre ambulanze. Il soccorso di prossimità non scatta. E l’astro di Zaia, che già molti indicano come l’antiSalvini o il dopo-Salvini in casa Lega, subisce un appannamento.
Lo smistamento dei pazienti fuori dalla regione di residenza è governato – dicevamo - dalla Cross, la Centrale incaricata di reperire i posti-letto disponibili e organizzare i trasporti con i mezzi del 118 o dell’Aeronautica militare. Possibile che non abbia fatto domande per pazienti lombardi anche nel vicino Veneto? E se le domande sono state fatte, chi le ha respinte?
Sulla carta l’ordinanza del 4 marzo della protezione Civile era chiara: ordinava la tempestiva collocazione dei pazienti con la «messa a disposizione obbligatoria da parte delle altre regioni di posti letto e risorse umane, strumentali e tecnologiche rispondenti alle urgenze». Cosa non ha funzionato? Chi ha disobbedito? E soprattutto chi ne ha pagato le conseguenze?