«La mia canzone per i più fragili»
«Dobbiamo recuperare il rispetto per i deboli. Il prossimo lavoro? Un tributo a Enzo Jannacci» «L’umarell» di Fabio Concato è dedicata agli anziani e alla sua città durante la pandemia
«Se dopo questa pandemia tutto tornasse come prima sarebbe imperdonabile». Fabio Concato è categorico: il coronavirus ci sta facendo vivere un dramma, ma è un dramma che può insegnarci qualcosa, come canta nel nuovo brano in meneghino diffuso sul web nei giorni scorsi, «L’umarell», omaggio alla sua Milano e a quei signori, perlopiù pensionati, che amano osservare gli operai al lavoro nei cantieri. «Ho una statuina di un umarell sul leggio della tastiera», racconta l’autore di «Fiore di maggio» e «Domenica bestiale», classe 1953. «Mi guarda mentre suono e un giorno mi è parso volesse chiedermi come mi stessi adoperando per questa emergenza. Così è nata questa canzone».
Qual è l’auspicio?
«Vorrei non tornassimo a inquinare e a consumare cose che non ci servono, inseguendo bisogni indotti. Vorrei finisse l’inciviltà e che si recuperasse il rispetto per gli anziani, per i più fragili, per la musica che porta conforto.
Nel settore ci sono milioni di persone che in questo momento non hanno entrate, non dimentichiamole».
Nel frattempo ci si rifugia nei ricordi: nei suoi c’è una laurea mancata in Medicina.
«Già, l’idea era diventare psicoanalista, ma lavoravo tutte le sere al Derby e coricandomi all’alba come facevo a studiare? O almeno questa era la mia scusa! La verità è che con il gruppo di cabaret I Mormoranti stavo vivendo qualcosa d’incredibile per il 20enne che ero, attorniato da artisti che mi mettevano l’ansia per quanto li amavo: Pozzetto, Jannacci, Teocoli, I Gatti di Vicolo Miracoli… C’era una tonnellata di talento in quel club, io cantavo e la regia era di Gianfranco Funari, uomo intelligente e generoso: quando faticavo a pagarmi l’affitto mi portava nei suoi spettacoli; io lo accompagnavo in due o tre pezzi e lui mi lasciava presentare le mie canzoni».
Ora sta lavorando a un tributo jazz a Enzo Jannacci, quale fu la sua grandezza?
«Lui era il tragico che si unisce al comico, rileggerò alcune sue perle come “Vincenzina e la fabbrica”».
Canzone d’impegno sociale come le sue «Bossa nova milanese», del 1979, e «Oltre il giardino», brano che portò a Sanremo nel 2007.
«E dire che al Festival mi dissero che “Oltre il giardino” era troppo pesante. Non capii: parla di un uomo che perde il lavoro e deve reinventarsi. E allora? Accade da sempre, purtroppo. La musica passa dal cuore, ma può essere un mezzo potente per trattare argomenti seri e, a proposito di “Bossa nova milanese”, io a fine anni 70 ero politicamente molto attivo, tanto che in quel
Idealista pezzo me la prendevo sarcasticamente con tutto, persino con la Chiesa. Erano tempi balordi, si temevano gli agguati sotto casa e molti, sia a destra sia a sinistra, morirono ammazzati. Ma c’era una voglia meravigliosa di cambiare le cose, c’erano gli ideali. E gli ideali smuovono, spingono a lottare, danno speranza».
Il lato più popolare di Concato è quello romantico di «Domenica bestiale»: com’è stato suonarla sul set di «Loro 1», il film di Sorrentino del 2018 su Silvio Berlusconi?
«Eccezionale. Quando Sorrentino mi chiamò per dirmi che mi voleva nel film perché “Domenica bestiale” era stata la colonna sonora dell’amore tra Berlusconi e Veronica Lario rimasi sorpreso, ma mi fece piacere. Mai votato per Berlusconi, però questa cosa riguardava la sua sfera personale e il film voleva analizzare quella. Anzi, quasi quasi approfitto di questi giorni per rivedermelo, è un bel ricordo».