Addio agli abbracci I saluti alternativi ai tempi del virus
Stringersi la mano è impossibile si cercano saluti alternativi
La pandemia ci ha travolti e, tra le tante, ci ha tolto pure la stretta di mano. E così, come usiamo i tessuti non tessuti per far le mascherine, siamo costretti ai saluti non saluti quando c’incontriamo: «Via la mano, per carità, solo buon giorno!»
Questo distacco, questa fisicità perduta, non possono durare. È vero, si è inventato una sorta di tuca-tuca, un gomito-gomito che fatica a prender piede, però, visto che per noi il movimento angolare del braccio è un gesto allusivo, è un educato tiè!, a volte è addirittura una vera e propria legnata, buona solo a farsi largo per salire sul tram. In considerazione poi della raccomandazione di starnutire proprio lì, al gomito, la sua piega si è trasformata in un’osteria per coronavirus, e il gesto ha avuto, e avrà, vita breve.
Limitarsi al ciao, al buongiorno o al buona sera, per noi è comunque impossibile: l’uomo latino — e pure la donna — non riesce a star fermo, soprattutto con le mani, e l’istinto lo spinge a ricorrere al linguaggio del corpo.
Cosa fare, dunque? Alcuni hanno pensato all’inchino e molti, in effetti, già si allenano alla riverenza giapponese e cominciano a capire quale sia la differenza tra il mokurei, che è un semplice cenno col capo, l’eshaku, il keirei o il saikeirei, che esprimono angolature diverse, tra il 15% e il 45%, per i diversi gradi di ossequio.
L’attuale consiglio a mantener le distanze, tra l’altro, aiuterebbe a non sbatter la zucca tra chi pratica il saluto nipponico, e lo fa con tocco italico, dove per natura si esagera e l’inchino a 90 gradi prenderebbe facilmente piede. Ma noi siamo gli inventori del «baciamo le mani», come dimenticarlo?, siamo i perfidi amanti dell’elegante baciamano, gli amiconi della pacca sulle spalle, i campioni dei baci e degli abbracci, e allora come potrebbe un virus, per maligno che sia, abituarci a far come i giapponesi, gente tanto composta da non sfiorarsi nemmeno? Quindi?
Be’, passata la buriana, ognuno riprenderà a dire e a fare come vien bene nel Bel Paese, dove si è o di destra o di sinistra, laici o praticanti, interisti o milanisti, e insieme si riesce a stare solo durante i primi giorni della catastrofe; poi, volenti o nolenti, si torna ad essere quelli di prima, pronti a brontolare insulti e a cantarsele manco fossimo i 4+4 di Nora Orlandi. Ecco allora che ai gentili ciao, buon giorno e buona sera, si tornerà ad aggiungere i vecchi pugni chiusi, le alzate di mano all’Adolfo, le benedizioni papali o le genuflessioni alla Fracchia, quei gesti insomma che danno colore al saluto, d’accordo, ma che di fatto allontanano.
Se è “Buon giorno!”, il buon giorno valga per tutti, no?
Ma noi siamo fatti così, i nostri gesti nascono spontanei, indicano chi siamo, e a volte sarebbe bene controllarli, quei gesti, perché usandoli non sempre appariremo distanti dagli stupidi, quelli che tanto il virus è solo una brutta influenza e tiè… il gesto dell’ombrello!
Cari ex carcerati, propongo quindi un brindisi (pollice all’ingiù e mignolo all’insù): il virus se ne andrà, questo è certo, la crisi finirà, e la speranza sarà di recuperare il sorriso e soprattutto di tornare finalmente a darci la mano, facendolo magari sul ponte di Bassano, così, per quelle che una volta, spensierati, chiamavamo le nostre belle scampagnate!