L’intervista L’epidemiologo Donato: «Non dimentichiamo cosa accadde a marzo»
L’epidemiologo: «Evitare focolai»
Per Francesco Donato la sfida è quella di evitare nuovi focolai, fare come in Veneto e cercare di isolare subito i contatti dei contagiati. Perché non è detto che il virus perda aggressività.
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I test servono a tranquillizzare la gente ma non hanno significato I tamponi invece ora servono se in una comunità (come una fabbrica) si registra un positivo
In Lombardia è partita la corsa ai test sierologici e chiunque può richiederlo, anche senza prescrizione. Questo potrà aiutare a circoscrivere il contagio o avrà una valenza solo statistica? L’abbiamo chiesto al professor Francesco Donato, ordinario di Epidemiologia dell’Università di Brescia.
«I sierologici forniscono una rassicurazione individuale e confermano che una persona ha contratto il Covid-19, ma non forniscono altri elementi. Certo, se il sierologico è positivo bisogna fare il tampone perché il virus potrebbe essere ancora presente. La persistenza del Covid può raggiungere anche i due mesi. E questo è un problema».
I contagi attuali non sono più quelli dell’emergenza di
marzo, ma il Covid non è scomparso. È decisivo trovare gli asintomatici, ma come si fa? Con i tamponi a tappeto?
«È utile fare i tamponi nei contesti dove le persone sono costrette a stare vicino, come in certe attività lavorative. Né il tampone né il sierologico sono test perfetti, ma oggi la sfida è individuare le persone contagiose il più in fretta possibile. Dobbiamo evitare altri focolai. E per bloccarli bisogna seguire l’esperienza del Veneto».
Tamponando un intero paese se ci sono dei contagi?
«No, ma se succede in un’azienda meccanica bisogna eseguire il tampone ai colleghi di reparto e ai contatti».
Ma perché il tampone non è perfetto?
«Chi risulta negativo può contrarre il virus in un momento successivo. E poi, se il Covid ha raggiunto alcuni organi in profondità e non risulta nel naso o nella faringe, il test può essere negativo. Una persona con i sintomi e il tampone negativo andrebbe trattato come se fosse malato».
Il distanziamento sociale e la prevenzione sono fondamentali.
«Sì, le misure di contenimento sono efficaci solo se vengono adottate in modo corretto. La mascherina non si può indossare un giorno sì e l’altro no. Il comportamento delle persone non è prevedibile. Il rischio è di dimenticarsi quello che è successo un mese fa. Sarebbe un guaio».
Come si può ovviare?
«Più persone sono attente e più è facile che altri seguano l’esempio. È sbagliato pensare all’immunità di gregge, non ci arriveremo mai a meno che non si verifichi una situazione disastrosa. Aspettiamo il vaccino e speriamo che il virus diventi meno aggressivo. Ad ora non ci sono certezze che il virus lo sia diventato».
Nonostante due mesi di lockdown, da inizio maggio il Bresciano ha continuato a registrare dai 50 ai 70 casi al giorno. Si tratti di contagi precedenti oppure sono casi recenti?
«È verisimile che siano contagi precedenti, ma non abbiamo informazioni dirette per dirlo. Di certo il calo dei contagi è molto lento, a fronte di un andamento in salita che è stato esponenziale. La situazione sta cambiando. C’è ancora chi muore, ma spesso si tratta di persone anziane, sopra i 70 anni, con patologie gravi».
Più uomini che donne?
«All’inizio era così, ma adesso si è in pareggio. La situazione va migliorando perché la gente sta distante, non ci sono più feste di piazza o tante occasioni di socialità. Il successo dipende dalla riduzione della trasmissione interumana. Negli ospedali ci sono misure di prevenzione forti, ma i contagi familiari sono i più difficili da prevenire».
Brescia ha raggiunto i 14 mila contagi e piange 2.600 morti.
«È vero, in Lombardia la situazione è grave, ma guardare i dati solo in termini assoluti può essere una lettura parziale».
In che senso?
«Prendiamo l’incidenza, cioè i casi di contagio rispetto alla popolazione: in Italia è dello 0,4%, in Lombardia è dello 0,9% che è lo stesso rapporto registrato in Valle d’Aosta e in Trentino. Significa che, in rapporto agli abitanti, il rischio di ammalarsi è uguale nelle tre Regioni. Se confronto la letalità con quella di altri Paesi europei, come Francia o Inghilterra, mi accorgo che è la stessa dell’Italia».