Il virus ha tagliato 5 anni di vita
È quanto sostiene l’ultimo studio della Bocconi, che ha calcolato le ripercussioni demografiche della pandemia
«Questa pandemia è l’evento con i costi umani maggiori mai visto dal secondo dopoguerra ad oggi». Non usa mezzi termini Simone Ghislandi, ricercatore del Covid Crisis Lab della Bocconi che ha messo in fila i dati Istat dei decessi nei Comuni lombardi dal primo gennaio al 15 aprile 2020 e li ha confrontati con le medie storiche relative agli anni 20152019. L’evidenza statistica è lampante e fotografa l’impatto sociale in termini di caduta dell’aspettativa di vita provocato dai tre mesi di pandemia: in alcuni Comumi la mortalità è cresciuta di più del 300% e a essere maggiormente colpiti sono stati gli ultrasessantenni, categoria che ha mostrato una eccesso di mortalità 66 volte superiore a quella degli under 60. Un bilancio che si traduce in un calo medio di cinque anni dell’aspettativa di vita.
La statistica raramente sbaglia. E in questo caso è lo strumento che meglio può restituisce la portata dell’ondata virale che ha sconvolto la vita e l’economia di un’intera regione negli ultimi tre mesi.
Uno studio, pubblicato ieri e realizzato da Simone Ghislandi del Covid Crisis Lab della Bocconi di Milano, è infatti riuscito a calcolare, partendo dai dati Istat dei decessi registrati in Lombardia Comune per Comune dal primo gennaio al 15 aprile e confrontandoli con le analoghe serie storiche del periodo 20152019, di quanto diminuirà l’aspettativa di vita a Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza. «Questa pandemia è l’evento con i costi umani maggiori mai visto dal secondo dopoguerra ad oggi» esordisce il ricercatore.
«Innanzitutto — prosegue Ghislandi — consideriamo la mortalità in generale, non solo i decessi classificati come Covid-19. Questo principalmente perché è molto probabile che i decessi ufficiali in Italia sottostimino gli effettivi decessi direttamente e indirettamente causati dall’epidemia. In secondo luogo, il nostro focus è su aree specifiche. Questo perché le ondate epidemiche in Italia sono state principalmente localizzate in certe province e calcolare l’aspettativa di vita sull’intera nazione sottostimerebbe moltissimo l’impatto dell’epidemia».
In effetti i numeri sono impressionanti: in alcuni Comumi la mortalità nel periodo di massima emergenza sanitaria è cresciuta di più del 300% (cioè del quadruplo) e a essere maggiormente colpiti sono stati gli ultrasessantenni, categoria che ha mostrato una eccesso di mortalità 66 volte superiore a quella degli under 60. Ancora: gli uomini hanno un rischio relativo di morire (sempre calcolato in termini di eccesso di mortalità) maggiore, fino a 2,5 volte il rischio delle donne. Il che fa dire a Ghislandi, che ha condotto lo studio con Benedetta Scotti, sempre della Bocconi, e due ricercatori del Wittgenstein Centre for Demography and Global Human Capital di Vienna, che «la riduzione di aspettativa di vita fra gennaio e aprile è stata drammatica»: a Brescia per i maschi di 5,1 anni (addirittura di 7,8 a Bergamo) e per le femmine di 4 anni (5,8 anni a Bergamo).
Secondo il ricercatore dell’ateneo milanese, la ricerca conferma come «ciò che abbiamo vissuto non è stata proprio un’influenza e che la prima ondata dell’infezione si è sostanzialmente estinta fra il 15 e il 30 aprile». Difficile prevedere se davvero, in autunno, si verificherà una nuova recrudescenza. Eventualità però importante dal punto di vista statistico: «Le ripercussioni sociali ed economiche, ad esempio sul sistema previdenziale, di ciò che è accaduto potrebbero non essere importanti — ragiona lo studioso — poiché questa controtendenza dovrebbe già diluirsi a partire dal 2021. Sarebbe un altro paio di maniche, almeno per il territorio lombardo, se davvero si dovesse verificare a ottobre una nuova recrudescenza».
Ora lo studio, che ha riguardato solo i territori lombardi più colpiti, potrebbe essere esteso anche ad altre regioni europee. «Ci stiamo lavorando — confermano dal team — poiché le valenze politiche dei risultati che abbiamo ottenuto sono importanti: la nostra metodologia, se estesa a livello comunitario, potrebbe diventare uno strumento utile per impostare eventuali nuove politiche previdenziali post-Covid». C’è un solo problema ed è di ordine statistico: la qualità delle rilevazioni Istat non ha paragoni all’estero. «Difficile — conclude Ghislandi — che in altri Paesi esistano dati così puntuali Comune per Comune».