Corriere della Sera (Brescia)

ABBIAMO BISOGNO DELLA NOSTRA SPOON RIVER

- SEGUE DALLA PRIMA Marco Toresini mtoresini@rcs.it

Forse avremmo bisogno anche noi della nostra collina di Spoon River, quella cantata all’inizio del secolo scorso da Edgar Lee Masters in una antologia di volti e di storie che sono il racconto di una paese e della sua gente. In provincia di Brescia non sono tanti i cimiteri sul collina ma basta passeggiar­e tra le tombe dei camposanti di qualche paese della Bassa (da Verolanuov­a a Montichiar­i, da Ghedi a Orzinuovi, da Pavone a Borgo San Giacomo) per capire che quegli oltre duemila morti accertati per Covid e le altre centinaia di persone decedute con sintomi molto simili (proprio ieri l’Inps parlava di un incremento di morti in due mesi del 200% rispetto a marzo-aprile 2019) hanno tracciato un solco profondo nelle comunità, hanno cancellato generazion­i, grandi e piccole storie di vita vissuta, anime belle protagonis­te di un mondo ora in ginocchio e disorienta­to. Ognuno di noi, in questi due mesi angosciant­i, giocoforza ha riempito la sua personale collina di croci bianche, ha trascritto immaginari epitaffi, ha dato un addio virtuale e per questo ancora più doloroso, al congiunto, all’amico, al conoscente di una vita. Ed ora camminando per quella immaginari­a collina si ritrova a salutare il medico che ha fatto nascere i suoi figli e quelli di mezzo paese, la maestra che li ha educati, l’allenatore che gli ha fatto tirare i primi calci al pallone. E poi il volontario che non si tirava mai indietro, l’anima di ogni rito collettivo che si consumasse in paese, il paladino dell’ambiente, l’alpino, il prete e il reduce che aveva provato gli orrori della guerra, il medico-eroe e il samaritano­silenzioso. Ci sono tutti come sulla collina dipinta da Masters nel suo capolavoro. Ecco perché dimenticar­li ora sarebbe uno sfregio, perché sono un po’ morti di tutti, figli di un dolore e di un’angoscia collettiva. Qualche Comune sta già pensando come ricordarli andando oltre le cerimonie postume di suffragio: un memoriale virtuale, un parco fatto di nomi e volti, un luogo nel quale ritrovarsi, nel quale tornare a giocare e a fare comunità come prima della pandemia. Perché forse hanno ragione quelli che dicono che d’ora in poi il mondo, come un po’ la medicina, si dividerà tra un’era «preCovid» e una «post-Covid». Ricostruir­e la memoria di questi mesi, ciascuno per le proprie competenze (e il mondo accademico su questo sta già macinando dati e modelli matematici) quindi diventa la base sulla quale costruire il futuro. Un futuro in cui gli errori del presente diventeran­no una preziosa scuola di vita. Un futuro in cui, ci dicono, dovremo essere più sobri, essenziali, virtuosi. Più solidali. Ecco, se dovessimo perdere memoria anche solo di quel patrimonio di condivisio­ne messo in campo in queste settimane di mobilitazi­one generale, finiremmo per perdere il senso degli sforzi fatti per vincere insieme una battaglia maledetta. E per non onorare a dovere gli ospiti della nostra personale collina di Spoon River.

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