SENZA MEZZE MISURE
Ecosì alla prima, vera tentazione ci siamo ricascati. Al primo venerdì di riapertura dei locali, con un clima che invogliava ad uscire e la primavera che pulsava nelle vene, una torma di trentaquarantenni ha affollato piazzale Arnaldo. Come prima. Più di prima. Come se nulla fosse accaduto. Tutti insieme appassionatamente. A distanza ravvicinata e a mascherina abbassata. Con buona pace delle raccomandazioni degli scienziati, degli allarmi di chi governa, delle minacce delle forze dell’ordine. «L’effetto-ressa è dato dagli zoom dei fotografi» si difendono i protagonisti, che rivendicano il diritto all’«ape» e soprattutto all’evasione dalle asfissianti rotte casa-lavoro-casa. Sono per fortuna una minoranza a giudicare dall’esecrazione generalizzata e dalle contumelie vere e proprie esplose sui social contro di loro. Dategli un nemico e il popolo del web si ricompatterà. Il nemico da venerdì sera sono i pirlodipendenti, gli irriducibili della movida, gli irregolari del vaffa-virus. I più pacati, fra gli ortodossi del distanziamento sociale, volgono in domande quello che vorrebbero esprimere a insulti.
Possibile che trovandosi davanti la piazza gremita i nuovi arrivati, anziché girare sui tacchi, ci si sono tuffati golosamente?
Possibile che nessuno di loro abbia perso un parente, un amico, un conoscente e sia stato indotto alla prudenza cercando di mantenere le distanze?
Possibile che non si accorgano che questa allegra smemoratezza è offensiva per chi – nelle fabbriche, negli uffici, nei negozi — ha norme stringenti da rispettare quotidianamente e le rispetta?
Eh sì che quelli visti in foto non sono adolescenti ma uomini e donne adulti, sono (o almeno dovrebbero essere) portatori di consapevolezza e non vittime di ape-astinenza. E se per un mojito di troppo facessero ammalare un proprio parente, cosa sussurrerebbe loro la coscienza? Abbiamo elogiato il sacrificio degli italiani, il loro senso civico, il rispetto delle norme. Ora una minoranza esigua sembra incapace di adottare le mezze misure. O il coprifuoco o il «liberi tutti». La loro bulimia sociale e alcolica ha determinato l’ennesimo stress istituzionale: riunioni in Loggia, martedì in prefettura persino un Comitato dell’ordine pubblico che impegnerà i vertici delle Forze dell’ordine.
Alle viste ci sono nuove figure come gli steward di piazza e le pattuglie-filtro, da subito c’è la chiusura anticipata alle 21.30 dei locali della zona, dove il registratore di cassa tornerà a piangere. Con la Fase 2 ci stiamo avventurando su un terreno incognito dove il morbo epidemico minaccia di diventare endemico, dove ci sono poche norme chiare (la mascherina, il distanziamento) e un nemico ambiguo: l’assembramento.
Le folle al chiuso sono pacificamente bandite, e infatti cinema e teatri restano chiusi. «L’affollamento disordinato di persone all’aperto» è invece sfuggente, indeterminato, insidioso, subdolo. Il vero antidoto all’assembramento sono la responsabilità individuale, l’autotutela personale, l’intelligenza. E anche quelle non ammettono mezze misure.