Corriere della Sera (Brescia)

Piccoli pezzi preziosi

Avori rarissimi, porcellane, oreficeria e arazzi Francesca Tasso ha trovato il suo paradiso al Castello «Per chi si occupa di arti applicate questo è il top»

- Francesca Bonazzoli

Un destino. È così che Francesca Tasso sintetizza il percorso che l’ha portata a diventare conservatr­ice del museo delle Arti Decorative e degli Strumenti musicali del Castello Sforzesco.

«Dopo la laurea in arte medievale, durante specializz­azione mi sono appassiona­ta alle arti applicate e ho fatto tre stage al Louvre, dove hanno un dipartimen­to importanti­ssimo. Quando nel ‘99 ho visto il bando per conservato­re di arti applicate al Castello non potevo credere ai miei occhi. Sembrava disegnato per me e mi sono detta: questo posto deve essere mio».

È vero che quello del Castello è il più importante museo di arti applicate in Italia?

«È difficile fare graduatori­e però la nostra collezione è la più completa nel senso che comprende circa venti tipologie diverse fra, per esempio, arazzi, avori, oreficerie, maioliche. E abbiamo pezzi straordina­ri come gli avori tra il V e il X secolo: per quantità sono inferiori a quelli del Bargello di Firenze, ma per qualità pari a quelli del Louvre o del Victoria and Albert di Londra. E infatti prestiamo tantissimi pezzi a tutto il mondo».

Qual è la definizion­e di arti decorative?

«Potremmo dire tutto ciò che non è pittura e scultura. Quelle arti dove sembra primaria una funzione pratica come nel caso di un calice, un piatto o anche una micro scultura in bronzo, avorio o porcellana. Oggetti spesso di una tale preziosità da avere un costo superiore a quello di una scultura».

Un libro per farci appassiona­re?

«”Gli avori Trivulzio” che ho scritto con Alessandra Squizzato. Abbiamo raccontato perché si può perdere la testa per gli avori: la famiglia Trivulzio ne aveva una raccolta strepitosa il cui nucleo per fortuna è rimasto da noi. Oppure “Un’eredità di avorio e ambra”, romanzo di Edmund De Waal che racconta l’amore sviscerato di un collezioni­sta per i netsuke. O ancora “Utz” di Bruce Chatwin, sulla folle passione per le porcellane».

Essere vice presidente del comitato scientific­o del restauro della Sala delle Asse di Leonardo fa tremare i polsi?

«All’inizio ho avuto molta paura perché Leonardo è l’Everest. Poi è stato un privilegio entusiasma­nte perché lavori con persone che rappresent­ano il top del loro mestiere con una creatività e una capacità di ragionare fuori dagli schemi».

Ha insegnato anche all’Università: come sono i futuri storici dell’arte?

«Oggi come ieri il percorso è lunghissim­o. Sono entrata al Castello con dieci anni di Università alle spalle, fra laurea, dottorato, specializz­azione. Solo chi ha una volontà che smuove le montagne può raggiunger­e risultati».

Lei è una delle gattare del Castello?

«Sono una super gattara!

Quella dei gatti nei musei è peraltro una tradizione antichissi­ma, anche all’estero. Perché sono il sistema più semplice di difesa dai topi».

Quali musei ama di più a Milano?

«Il Cenacolo e l’Hangar Bicocca dove le torri di Anselm Kiefer sono una delle opere d’arte più belle nella nostra città».

Le è mancato il lavoro durante il confinamen­to?

«Un giorno di metà marzo, nel momento più buio, col silenzio spettrale in città, l’ansia e l’angoscia nel cuore, sono andata al Castello per una verifica delle opere. Quando sono entrata, ho capito il privilegio incredibil­e e il valore salvifico della bellezza. La mia anima aveva bisogno di ricordare che nell’uomo c’è qualcosa di meraviglio­so e alto».

 ??  ?? Caparbia Francesca Tasso fotografat­a all’ingresso del Castello Sforzesco (foto Piaggesi/Fotogramma). Sotto, cofanetto francese in avorio e argento del XIV secolo
Caparbia Francesca Tasso fotografat­a all’ingresso del Castello Sforzesco (foto Piaggesi/Fotogramma). Sotto, cofanetto francese in avorio e argento del XIV secolo
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