Uccide l’amico: «Mi sono solo difeso da un’aggressione»
La lite per una sigaretta
Tre ore di interrogatorio davanti al pm Paolo Savio, per raccontare la sua versione dei fatti e dire che no, «non volevo ucciderlo, e mi dispiace». In carcere con l’accusa di omicidio volontario del coinquilino Vincenzo Arrigo, 59 anni (da lui stava ai domiciliari), Bettino Puritani, 53, sostiene di essersi difeso da un’aggressione da parte della vittima. Che per prima, stando al suo racconto, avrebbe afferrato la roncola con la quale poi è stato colpito a morte.
Ha parlato per quasi tre ore. Per raccontare al sostituto procuratore Paolo Savio non solo cosa fosse successo l’altra sera, ma anche come vivesse. Di stenti. Assistito dall’avvocato Marino Colosio, Bettino Puritani, 53 anni, è in carcere con l’accusa di omicidio volontario — aggravato dai futili motivi — dell’amico e coinquilino Vincenzo Arrigo, 59: colpito più volte in testa, lateralmente, con una roncola.
Quando i carabinieri sono arrivati in via Alessandro Manzoni, piccolo vicolo nel centro storico di Esine, poco prima della mezzanotte di lunedì, l’hanno trovato esanime per strada. Puritani era poco distante, i vestiti insanguinati e la roncola a terra. «Sono stato io», ha confessato subito. Ma «non volevo ammazzarlo, mi dispiace» ha detto al pm, sostenendo che no, l’accetta, per primo, non l’avrebbe afferrata lui. Ma la vittima. «E ho dovuto difendermi da un’aggressione» ha ribadito esibendo i tagli e i segni sulle braccia. E ricordando che l’amico, quell’attrezzo, l’avrebbe impugnato «una seconda volta anche prima di cadere esanime a terra».
Entrambi disoccupati, con problemi cronici di alcolismo — sostiene chi li conosce — e seguiti dai servizi sociali per riuscire a campare, Arrigo e Puritani vivevano insieme da ottobre. Da quando la vittima era ai domiciliari, dall’amico che lo ospitava, su decisione del giudice di sorveglianza: si era avvicinato alla ex compagna che già lo aveva denunciato per stalking. E aspettava il processo. Una sistemazione quantomeno anomala, caratterizzata da un profondo degrado, in un appartamento fatiscente privo addirittura di energia elettrica. Addirittura, «finalmente dopo cinque giorni di digiuno forzato, visto che non avevamo nulla in casa, sono riuscito a mangiare qualcosa una volta entrato in carcere» ha detto al suo legale Puritani, pregiudicato come Arrigo.
«Litigavano spesso, li sentivamo», confermano i vicini. Quello fatale, di litigio, sarebbe esploso per le sigarette. Che non c’erano. «Esci e cerca qualcuno che ne abbia alcune da darci per fumare» avrebbe detto Arrigo al suo padrone di casa. Sottolineando pure che «vanno bene anche i mozziconi, se ne trovi, così raccogliamo un po’ di tabacco».
Ma Puritani sarebbe tornato a casa a mani vuote, innescando di conseguenza i rimproveri e le ire del coinquilino. Pare entrambi avessero alzato il gomito, anche l’altra sera. Dagli insulti alla violenza il passo è stato brevissimo. Fino ai colpi di roncola. Mortali. Inutile l’arrivo dei soccorritori, non c’era più nulla da fare.
«Sosterremo la nostra versione anche davanti al giudice in sede di convalida dell’arresto», conferma l’avvocato Colosio, certo della sincerità del suo assistito. Il quale, dopo quella «discussione violenta, più violenta del solito» e dopo i colpi, pare nemmeno si fosse accorto subito, di aver ucciso Vincenzo.
«Non ha nemmeno pensato di scappare, è rimasto lì e ha aspettato le forze dell’ordine». Accanto al corpo senza vita dell’amico, con il quale ormai da tempo condivideva una vita davvero ai margini, fatta di solitudine, difficoltà economiche e pochi contatti con il resto del mondo.
Due vite ai margini Una casa malmessa e tanti problemi La vittima ai domiciliari dal suo assassino