LA SCUOLA È ANCHE RITO
Solo tre mesi fa, sancita l’emergenza e chiuse le scuole (all’inizio pareva per una sola settimana), gli studenti festeggiavano la vacanza inattesa e lo sconto immaginato sulle valutazioni finali. Oggi i maturandi denunciano la superfluità della prova, esprimono malinconia e si compiacciono che almeno sia compendiata da un orale in presenza.
Che cosa è avvenuto in tutte queste lunghe settimane che ha mutato il loro atteggiamento? Soprattutto la presa di coscienza progressiva del dramma, sottovalutato nei primi giorni. Alcune immagini, codice così eloquente per i giovani, hanno segnato loro come tutti e resteranno icone della sofferenza: le bare trasportate dai mezzi militari davanti al cimitero di Bergamo, gli ospedali trasformati in avamposto da campo, papa Francesco solo nell’immensità di piazza San Pietro. E poi la consapevolezza di ciò che stanno perdendo. Non tanto i contenuti didattici, che un immane sforzo di didattica a distanza ha assicurato egregiamente; non solo la socialità della frequenza scolastica, che chat e videochiamate surrogano. Piuttosto la ritualità insita nella scuola. La scuola è (anche) rito.
Non essendoci più le caserme del servizio militare obbligatorio, diminuiti i matrimoni in chiesa, è principalmente a scuola che si vivono i passaggi del diventare adulti, di cui la maturità – con relativa notte prima degli esami — è emblema. Un vero e proprio percorso di iniziazione. Mancherà a queste classi, così come ai più grandi che hanno discusso le tesi dal salotto di casa, il rito, che consta di azioni pubbliche, appunto la liturgia, e di uno spazio preciso, reale. Gli antropologi insegnano che il rito è memoria collettiva di gesti e parole simboliche ripetute secondo un modello, un canone, che rinsalda i vincoli di una comunità ed esorcizza le paure. Non è proprio di ciò che saranno depauperati questi ragazzi? Nella fase 3, quella di vera normalizzazione, dovremo immaginare cerimonie di ritorno e saluto agli spazi così repentinamente abbandonati. Avremmo ipotizzato ci potessero mancare anche le pareti scrostate delle aule e i corridoi «graffitati» delle nostre scuole?