Dal Drive-in in garage al Castello: la tentazione di Minini (e Bellearti)
La penultima cena di Massimo Minini (ipse dixit) è stata servita tra kimono di seta, tappezzerie strappate, lampade da rigattiere e saggi di David Lynch: sui vassoi giravano popcorn e magnum di Ca’ del Bosco. L’altra sera, nell’atelier milanese di Antonio Marras, il gallerista e i colleghi dell’associazione Bellearti hanno presentato la mostra sotterranea Art drive-in, Generali (la vernice domenica dalle 18 alle 23 in via Pusterla) con una performance teatrale dadaista, Ma la notte no di Renzo Arbore in sottofondo e la televisione accesa sul programma cult di Antonio Ricci (un vai e vieni catodico delle mitologiche, scostumate e poppute signorine di Drive In). «Abbiamo pensato a cosa si poteva fare per vedere l’arte davvero e non restare sulla rete come pesciolini», la premessa di Minini. Tra archetipi, graffiti, fotografie e installazioni, 18 artisti diversi per indole e generazione — qualche nome: Mimmo Paladino, Giovanni Gastel, Ozmo, Osamu Kobayashi, Antonio Riello e lo stesso Marras — hanno creato lavori sitespecific che resteranno in garage senza limite di tempo: non è previsto un finissage. L’ispirazione è anarchica: l’immaginazione è sovrana. E il pubblico avrà precise istruzioni per l’uso: nel contemporaneo si viaggia in auto. Se gli artisti si sono concessi senza chiedere un centesimo, la produzione delle opere è stata finanziata da Generali assicurazioni. Il progetto — eversivo, spregiudicato, «mininiano» ed esemplare, in questo maledetto periodo — è solo il primo: nei giorni scorsi, l’associazione ha proposto a Brescia
Musei una mostra collettiva (e molto erotica) al Grande Miglio, in Castello. Il titolo: Corpo frammentato. Un’«orgia» di video, acquarelli e segni provocatori — anche estremi o comunque anticonvenzionali —, da allestire con l’aiuto degli stessi artisti (girano nomi internazionali) e di collezionisti privati, senza scopo di lucro. La Fondazione è tentata, ma c’è da discutere su tempi e costi del progetto, non scontati nell’era della cultura in mascherina.