Brescia-Genoa: pareggio beffa La B a un passo
Rondinelle raggiunte grazie a due rigori Il presidente Cellino furioso con l’arbitro
Il sogno della permanenza in serie A è durato un’ora. Il Brescia, in un Rigamonti deserto a causa delle restrizioni Covid, si è portato in vantaggio sul Genoa già al decimo minuto con Donnarumma, tre minuti dopo è arrivato il raddoppio di Semprini. Ma la partita è finita in pareggio, grazie ai due rigori, concessi ai liguri. Il primo dubbio, tanto da scatenare le ire del presidente Cellino. Ora, con otto punti ancora da recuperare e una partita in meno da giocare, la serie B è ormai (troppo) vicina.
Il Brescia riapre il campionato per un’ora. Caldissima (32 gradi al Rigamonti), sofferta, carica di speranza e di rabbia. La rimonta del Genoa, ottenuta grazie a due rigori, non condanna le rondinelle alla Serie B ma complica la scalata, con otto punti ancora da recuperare e una partita in meno da giocare (ne restano dieci).
Pesa troppo, in uno spareggio salvezza che valeva doppio, la direzione arbitrale del signor Irrati: a far gridare di rabbia il presidente Cellino, furioso a bordo campo, è il primo penalty concesso al 36’ quando le rondinelle, avanti 2-0, sembravano in controllo. Il 17enne Papetti allarga il braccio in un contrasto aereo con Romero: uno scontro come tanti, tramutato dal fischietto — indotto in errore dall’assistente Cecconi — in un tiro dagli undici metri. Il gol dal dischetto di Iago Falque cambia l’inerzia della gara: il Genoa torna a crederci mentre il Brescia, senza ricambi all’altezza, boccheggia e inizia a giocare con timore. Nella ripresa, come sempre accade quando subentra l’apprensione, le rondinelle regalano anche il secondo rigore, stavolta netto, per un fallo di mano di Dessena (realizza Pinamonti). Finisce 2- 2. Un nuovo pareggio, con annesse pacche sulle spalle a Lopez, il facile apprezzamento a chi pare condannato. La salvezza poteva tramutarsi in missione possibile, con una vittoria: ora bisogna tornare a sperare in un miracolo sportivo, attuabile solo con uno sprint da scudetto (mercoledì c’è l’Inter). La squadra, come già a Firenze, ha mostrato confortanti e apprezzabili segnali di vita. Ma solo per un’oretta, senza la possibilità di inserire forze fresche dalla panchina: mentre il Genoa buttava nella mischia Pandev e Schone, che hanno giocato una finale e una semifinale di Champions League, Lopez doveva affidarsi a Ayè, Romulo (in prestito proprio dal Genoa) e all’esordiente Ghezzi.
Non è bastato l’orgoglio di Donnarumma, impeccabile dopo dieci minuti nel tramutare in rete una splendida manovra condotta da Sabelli e Torregrossa. Tre minuti dopo, su azione fotocopia dalla destra, era stato Semprini a raddoppiare deviando in rete il destro di Bjarnason. Un’altra partenza sprint, cui è seguita un’altra rimonta, la dodicesima della stagione. È tardi, ormai, per pensare al passato. Era finalmente il momento di guardare al presente. Lo aveva capito Massimo Cellino, primo tifoso dei suoi in uno stadio deserto, nel quale i sussurri sembravano grida. «Dagli un altro rigore», ha continuato a ripetere il presidente nel finale di gara, ancora seccato per l’errore arbitrale. Non è il primo, quest’anno. Ma una cosa è certa: se la squadra è ancora ultima, è per colpa di tutti. Nessuno escluso.