Rossini: più welfare per un mondo più giusto
L’emergenza sanitaria che ha sconvolto i fragili equilibri del nostro Paese e di tutta l’Europa, ha delineato un quadro a tinte fosche per l’immediato futuro, marcato da un aumento del livello di povertà e dall’acuirsi delle già consistenti diseguaglianze sociali, causate da una limitata mobilità e da una crisi economica mai realmente superata. Ecco quali sono le possibili ricette per un mondo più giusto secondo Roberto Rossini, il presidente nazionale delle Acli.
C’era una volta il Welfare. L’emergenza sanitaria che ha sconvolto i fragili equilibri della penisola e dell’Europa, ha delineato un quadro a tinte fosche per l’immediato futuro, marcato da un aumento del livello di povertà e dall’acuirsi delle già consistenti diseguaglianze sociali, causate da una limitata mobilità e da una crisi economica mai realmente superata. Una situazione che appare ancor più critica e incerta, appesa al filo delle politiche che il Governo e l’Ue stessa sceglieranno di sostenere, per finanziare la ripresa del Vecchio continente. Spunti su cui hanno dibattuto, presso il Complesso di San Cristo, in occasione della presentazione del libro «Più giusto. Cattolici e nuove questioni sociali» (Scholé, pp. 112), scritto poco prima di Covid, ma perfettamente aderente alla realtà da esso disegnata, l’autore e presidente nazionale delle Acli Roberto Rossini, il sindaco Emilio Del Bono, il presidente delle Acli bresciane Pierangelo Milesi e don Fabio Corazzina.
Proprio in Lombardia, la comparsa del virus ha aperto un drammatico conflitto tra la tutela della salute dei lavoratori e le necessità di un sistema economico che spesso ha visto rallentare i propri ritmi, ma senza un vero e proprio lockdown. In quanto portavoce dell’Alleanza contro la povertà, Rossini, come pensa si possa affrontare il generico impoverimento che non sarà più relegabile alla minoranza della popolazione?
«Il conflitto si è già presentato nel caso delle acciaierie tarantine, tra diritto al lavoro e alla salute. Deve ovviamente prevalere il secondo, ma problematica e complessa è l’armonizzazione dei diritti. Bisogna rivedere i parametri del reddito di cittadinanza, efficace nella lotta contro la povertà ma non come politica attiva del lavoro. Saranno necessarie deroghe per aiutare la famiglia, poiché i parametri di questo strumento favoriscono più i singles. Va rivisto il meccanismo delle politiche attive del lavoro e ciò diviene possibile se verrà messo in atto un forte collegamento tra centri di impiego e centri di formazione professionale, infrastrutture capaci di creare competenze per il mondo del lavoro. Post Covid queste esigenze aumenteranno, a causa della carenza di lavoro - come nel settore turistico - e per la quale andranno riconvertite e riformate le forze».
Le già presenti diseguaglianze sociali, eredità del background di appartenenza, sembrano oggi ancor più evidenti: effetti immediati della pandemia il maggior precariato e un peggioramento della condizione femminile.
«Possiamo parlare di diverse faglie di diseguaglianza: quelle di genere, tra giovani e adulti, tra Nord e Sud, tra chi ha lavoro con contratto stabile e non. Faglie che l’Italia non riesce a sanare, che bloccano lo sviluppo dello
"Va rivisto il meccanismo delle politiche attive del lavoro con un forte collegamento tra centri di impiego e centri di formazione
Stato. Quali gli strumenti? La partecipazione delle donne al mercato del lavoro aiuterebbe proprio in questa direzione. È statisticamente dimostrato che più le donne lavorano più fanno figli, ma non basta il lavoro, serve un Welfare capace di favorire la genitorialità. Occorrono provvedimenti che l’Italia deve attuare, politiche in questa direzione. Tali diseguaglianze si sono rafforzate in questi mesi e rischiano di essere più divisive. Lo smart working è stato un grande esperimento, da continuare a percorrere, ma non è sufficiente. Va potenziato il Welfare, pensati altri strumenti per aiutare le famiglie».
Nel suo libro descrive un sistema capitalista e una fragilità economica che producono desideri individuali, volti al mero soddisfacimento dei bisogni della persona, e annullano quelli collettivi come giustizia, libertà e uguaglianza. La necessità di una responsabilità di comunità, per arginare l’epidemia, può aver rimesso in discussione questo paradigma?
«Si è avvertito un forte desiderio di appartenenza alla comunità, che ho visto anche in molte manifestazioni a Brescia. Un’appartenenza a una comunità aperta e inclusiva, non esclusiva. C’è un sentito desiderio di appartenere a qualcosa di grande. I sentimenti collettivi fino ad oggi sono stati schiacciati a favore di quelli individuali, ma notiamo un aumento di valori più alti, che ci unisce in un sentimento di orgoglio verso chi ha lavorato e si è sacrificato per noi. Sono sentimenti che richiamano le basi della polis e può essere l’occasione di ritorno alla politica vera, che “salva” la vita delle persone, salva l’umano e le sue ragioni. Questa è politica, altrimenti è solo organizzazione, gestione».
"La partecipazione delle donne al mercato del lavoro aiuterebbe. Ma servono più aiuti in modo di favorire la genitorialità