«Ebrei e zingari, popoli fratelli»
Moni Ovadia chiude il festival di Villa Arconati col recital «Senza confini» «Accomunati dall’essere considerati come “altro” e costretti al nomadismo»
«Un piccolo ma appassionato contributo alla battaglia contro ogni razzismo». Così, Moni Ovadia definisce «Senza confini. Ebrei e zingari», concerto-spettacolo di scena stasera al festival di Villa Arconati. Accompagnato dall’Orchestra Stage, un ensemble formato da musicisti rom e italiani, Ovadia fonde abilmente musica klezmer, che canta con voce profonda e appassionata, a riflessioni condotte alla luce del «witz», il tradizionale umorismo ebraico. «È un recital musicale», spiega lo scrittore, musicista, attore bulgaro, milanese d’adozione. «Attingo dal vasto repertorio della tradizione orale rom con qualche tema klezmer. Racconto storie, aneddoti, umorismo sui piccoli pregiudizi riguardanti i rom. Da una parte ci sono l’amore per la battuta, tracce poetiche, storielle e barzellette ebraiche e dall’altra i ritmi incalzanti delle sonorità e delle melodie zingare, ossia la bella musica che “attraversa” le genti e la cultura dall’Europa all’Est. In sintesi, si tratta di un’opera teatrale originale e senza confini, come la musica, fatta di memorie e di grandi emozioni».
Intellettuale agnostico, cresciuto in una famiglia di ascendenza sefardita, ma di fatto impiantata da molti anni in ambiente di cultura yiddish e mitteleuropea, Ovadia, classe 1946, racconta la storia di due popoli fratelli, quello ebraico e quello zingaro di sinti e rom, «che a lungo hanMoni no marciato fianco a fianco nella sorte, accomunati dall’essere avvertiti come “altro” dalla comunità occidentale e insieme dall’essere costretti al nomadismo come risposta di dignità e di indipendenza alle persecuzioni nei loro confronti. Ebrei, rom e sinti seppero essere in tutto e per tutto popoli», continua Ovadia, «per tradizioni, cultura, spiritualità, sentimento, anche se popoli senza burocrazia, senza esercito, senza retorica patriottarda, senza terra, insomma senza confini. Due popoli fratelli affiancati in una storia spesso tragica ma le cui strade si sono divise dopo le persecuzioni naziste. Gli ebrei hanno cambiato la loro storia, hanno conquistato una terra, hanno avuto pieno riconoscimento della loro condizione di perseguitati e un immenso edificio di testimonianza costruito sulla Shoah. Il popolo rom, invece, continua a subire il calvario del pregiudizio e dell’emarginazione. Quasi nessuno, ad esempio, conosce la parola “Porrajmos”, il nome dato allo sterminio degli zingari».
Ovadia è stato nominato a dicembre direttore del Teatro Comunale «Abbado» di Ferrara. Un incarico pieno di ostacoli, a sentire l’interessato. «È un’impresa faticosa, soprattutto per le regole burocratiche e la limitazione dei fondi a disposizione. In questo Paese l’artista non viene considerato con dignità. Per questo voglio chiedere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di fare una dichiarazione ufficiale, simile a quella fatta da Angela Merkel, che i lavoratori dell’arte sono di primaria importanza. E che la cultura è di tutti, né di destra nè di sinistra».
Lo spettacolo I ritmi incalzanti delle melodie klezmer si fondono ad aneddoti e pregiudizi sui rom