Linda, ma ti ricordi quando suor Ettorina ti ha tagliato i tuoi bellissimi capelli?
Ma mentre parlo ho gli occhi sgranati. Ma questa è Linda. Adesso glielo chiedo. L’imbarazzo del mio ruolo di prof. di suo figlio mi trattiene. Prima di scomparire nell’oblio reciproco per quarant’anni, Linda e io eravamo compagne di classe dalle suore di Santa Maria Bambina e la nostra maestra era una certa Suor Ettorina, nata Ernesta. Era una donna imponente e apparentemente bonaria ma affetta da significativi agiti psicopatici che ogni tanto non poteva evitare di mostrarci. Suor Ettorina era senza dubbio una solida insegnante elementare dal punto di vista della didattica. Aveva solo metodi psicologici discutibili, ad esempio, come qualche nuovo ministro ha sottolineato, anche lei credeva nel valore formativo dell’umiliazione. Solo che la sua era umiliazione vera, quella dal sapore medievale, modello Ildegarda di Bingen. Non era raro ci confessasse, in classe, di aver peccato. Una parola sgarbata a una consorella, un eccesso di appetito a tavola, Suor Ettorina si crucciava davanti a noi di queste sue mancanze e ci raccontava come si purgava dal male, infliggendosi un castigo corporale. Si trattava di una specie di pezza fatta di materiale irritante che metteva sotto i vestiti per una giornata oppure qualche piccola catena che legava in vita. Andava molto fiera di questi suoi sacrifici. In pratica, alle elementari io e Linda avevamo una maestra che si autopuniva col cilicio e lo raccontava a bambini di sette anni. Suor Ettorina tendeva a parlare molto di sé, del suo passato e di quelli che lei riteneva i suoi due difetti principali. Era possessiva e permalosa, perciò si infliggeva qualche digiuno, qualche lieve supplizio delle carni. Ad un certo punto verso i miei dieci anni, Suor Ettorina si mise in testa che io le somigliavo, cioè anche io ero possessiva perché volevo giocare con le stesse due bambine e avevo poco interesse per tutti gli altri. Allora ordinò alle mie amiche e a tutti i bambini della classe di non giocare con me e non rivolgermi mai la parola a ricreazione. Questa cosa andò avanti per mesi. Io ricordo pomeriggi interi a piangere in cortile, attendendo in completa solitudine di diventare meno possessiva. Siccome credeva nella mortificazione come ascesa alla spiritualità, Suor Ettorina non sopportava le bambine che non tenevano il
La nuova apertura arriva a 30 anni dall’inizio della loro storia professionale
grembiule addosso e lasciavano i capelli sciolti. Un’immagine nitida quindi è questa. È pomeriggio, siamo rientrate dal pranzo e dalla ricreazione, Linda non ha il grembiule e i capelli, biondi e bellissimi, le piovono liberi fino a metà schiena. Suor Ettorina è molto arrabbiata, prende il solito elastico da pacco che usa per noi bimbe scarmigliate e afferra la chioma di Linda incastrandola in una coda serratissima, che le fa molto male. Lei si lamenta. Suor Ettorina allora non ci vede più; prende una forbice e le taglia una ciocca di capelli. Questa è l’ultima cosa che ricordo di lei, bambina. Nei miei ricordi di infanzia Linda è fissata in quell’attimo eterno a dimenarsi sotto le forbici. Poi, il buio. Fino alla mattina in cui la sua faccia è di nuovo davanti a me, grande sullo schermo. Signora scusi, ma lei si chiama Linda? Si, mi dice, e passiamo subito al tu, che non è normale darsi del lei quando si è state bambine insieme. E poi ci guardiamo, come due che hanno condiviso quotidianamente qualcosa di molto insano e che non sanno bene se i ricordi collimano. Suor Ettorina, ci diciamo. Pausa. Te lo ricordi quando ti ha tagliato i capelli?