Gibboni serve a Villa Necchi
Là dove un tempo si giocava a tennis oggi si gioca con la musica. Da sette anni Vi l l a Ne cchi , splendida dimora anni ’30 nel cuore di Milano firmata da Piero Portaluppi, ospita una fortunata rassegna ideata dalla Società del Quartetto in collaborazione con il Fa. Nell’ex campo da tennis, trasformato in un padiglione di vetro, oggi alle 17.30 il primo appuntamento, protagonista Giuseppe Gibboni, 22 anni, vincitore del Premio Paganini 2021.
Gibboni, com’è suonare in un posto come questo?
«È un moltiplicare le emozioni perché si suona con le mani ma anche con gli occhi. Essendo campano mi è capitato di esibirmi in altri spazi dove tale miracolo accade, lo sfondo incantato del Festival di Ravello, lo splendore del teatro San Carlo…».
Il programma, che spazia da Bach a Paganini, da Ysaÿe a Schnittke, è lo stesso che ha suonato a maggio alle Serate Musicali.
«L’ho costruito per seguire l’evoluzione del virtuosismo del violino dal ‘600 a fine secolo scorso. Sarà l’ultima volta che lo eseguo».
Le ha cambiato la vita vincere il Paganini?
«Senza dubbio mi ha dato una considerazione diversa nel mondo musicale. Al Paganini sono andato per vincere, e ho vinto. Credo di aver suonato bene, ma questo non basta. Sono le differenze impalpabili a rivelarsi determinanti. Ci vuole orecchio, e anche un po’ di fortuna».
Quali maestri pensa di dover ringraziare?
«Salvatore Accardo, che mi ha guidato alla Stauffer di Cremona. E mio padre, insegnante di violino. Quando suonava in casa, lo guardavo incantato cercando di afferrare il suo strumento. Così, anche per salvare il suo, a 3 anni mi regalò un violino per bimbi. Che diventò il mio giocattolo preferito».
Poi però non è stato più un gioco...
«Frequentavo il liceo e pure il conservatorio. Facevo i compiti in fretta, il resto del pomeriggio a esercitarmi col violino. I compagni mi prendevano in giro: ore a studiare e le note sono solo sette…»,
Le è mancata la vita «normale» di un ragazzo?
« No, alla fine trovavo il tempo per quel che mi piaceva: la bici, il karate. Ero bravo, le arti marziali mi piacevano moltissimo. Ho dovuto smettere perché mi fossi rotto un dito, addio violino».
Da ragazzo ha partecipato a un talent.
«A 10 anni con la mia famiglia al completo, sono andato a Italia’s got talent. Abbiamo suonato Le quattro stagioni di
Vivaldi. Un bellissimo ricordo. Ho imparato quanto sono complessi i ritmi televisivi».
Andrebbe a Sanremo?
«Perché no?».
E i social? Contano nella classica?
« Altroché. Al punto che spesso determinano le scelte dei direttori artistici. Un musicista con molti “like” viene preferito perché si pensa porti quel pubblico giovanile di cui tutti vanno a caccia… A volte sono però anche pericolosi, sui social tutti si sentono professori, danno giudizi senza competenza. Se uno è un po’ fragile rischia di essere fatto a pezzi».
La sua fidanzata?
«È una chitarrista! Carlotta è brava con la musica e anche in cucina. Suoniamo spesso insieme, ora stiamo preparando Il trillo del diavolo di Tartini. In coppia nella vita e nella musica».
Il violinista in concerto sull’ex campo da tennis apre la rassegna organizzata dal Quartetto con il Fai «Il Paganinimi ha aiutato. Sanremo? Perché no»