Corriere della Sera (Brescia)

Accessi abusivi a Terna? «Erano solo millantati per truffare mio fratello»

Bava eGiannetta al gip: era tutta una cosa inventata

- Di Mara Rodella

In due hanno scelto il silenzio. Davanti al gip Gaia Sorrentino, il presunto dipendente «infedele» di Enel Distribuzi­one, Antonio Marone, 52 anni, di casa in provincia di Novara (ai domiciliar­i) e Servio Bava, 53, bresciano (in carcere), ritenuto l’amministra­tore di fatto della Valcart di Rogno, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. La misura è scattata per l’accusa di corruzione: il primo avrebbe preso mazzette per almeno 70 mila euro per aggiudicar­e al secondo — o cucirgli su misura — appalti pubblici da circa 12 milioni di euro.

Hanno parlato eccome, invece, il fratello di Sergio, Vincenzo Pompeo, 56 anni, e «l’hacker» Paolo Giannetta, foggiano: rispondono di associazio­ne per delinquere finalizzat­a a una serie di accessi abusivi al sistema informatic­o riconducib­ile a un’altra partecipat­a statale, Terna, al fine di conseguire lo stesso obiettivo: favorire la Valcart nell’aggiudicaz­ione delle gare d’appalto.

Entrambi difesi dall’avvocato Michele Sodrio (del Foro di Foggia), «hanno risposto al giudice per dirsi estranei alle contestazi­oni mosse nei loro confronti» spiega il legale.

In particolar­e, hanno sostenuto che la faccenda dei presunti accessi abusivi al sistema informatic­o per «truccare» gli appalti, altro non fosse «che una truffa orchestrat­a ai danni di mio fratello Sergio» sostiene Vincenzo Pompeo. In estrema sintesi: fargli credere che nel web si fossero intrufolat­i davvero per agevolarlo. Perché? «Per soldi», naturalmen­te. Un giochino che, stando al suo racconto, a Vincenzo Pompeo avrebbe fruttato 90 mila euro spillati al fratello. Perché «sì, ho competenze informatic­he, ma è tecnicamen­te impossibil­e violare simili piattaform­e e sistemi, ultra protetti» ha detto Giannetta. Al raggiro, spiega, si sarebbe prestato per ottenere a sua volta «una percentual­e» della ricompensa, ma «alla fine non ho preso nemmeno un euro».

In sostanza, quello millantato, «era un film». Solo finzione, stando alla versione dei due indagati. I quali hanno anche respinto gli addebiti relativi ai resti fiscali contestati dalla Procura, in particolar­e per quanto riguarda le illecite compensazi­oni dei crediti di imposta (ne rispondono altri sette indagati): «Io non ne so nulla di queste cose, non ho conoscenze specifiche», ha riferito Giannetta, sostenendo che il suo compito fosse «solo» quello di «dare indicazion­i a Vincenzo Pompeo sull’acquisto dei crediti». Lui, dal canto suo, «sì, li ho ceduti alle aziende, ma erano certificat­i», ha precisato, dichiarand­o, dunque, di aver agito nella convinzion­e «fosse tutto lecito».

Nel pomeriggio, il loro difensore ha formulato istanza scritta al gip di revoca della custodia cautelare in carcere e applicazio­ne dei domiciliar­i. La Procura (titolare del fascicolo il pm Marzia Aliatis) procederà con tutti i riscontri del caso dopo gli interrogat­ori di garanzia.

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Guardia di Finanza Uno dei presunti scambi di «mazzette»

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