Corriere della Sera (Brescia)

«Di notte nella stanza per vedere se respirava Affidatevi agli esperti»

- (l.g.)

I nomi sono di fantasia. Il racconto è vero, in tutta la sua drammatici­tà, sempre ammantata, però, di speranza. Nella mente di Cristina, mamma che si è scoperta con una forza insospetta­bile, è scolpito come sul granito l’attimo in cui Laura, sua figlia, con una valigia piena di tormenti, varcava la soglia del Centro per i Disturbi del comportame­nto alimentare di Gussago. Altezza un metro e 71, diciassett­e anni, liceale brillante e un incedere fragile come la sua anima e il suo corpo, consumato dalla malattia. Ago della bilancia sprofondat­o, in pochi mesi, da 56 a 38 chili. «La guardavo e piangevo, perché per molte settimane non l’avrei vista e nemmeno sentita — racconta Cristina — ma mi sono detta “meno male”. Non volevo che morisse a casa senza che potessi fare qualcosa». Ma il lungo ricovero nel centro che dipende dagli Spedali Civili di Brescia, non era che una tappa di un viaggio devastante, iniziato a marzo 2020, in pieno isolamento da lockdown. «Era una ballerina e per me aveva un fisico perfetto, ma mangiava sempre meno perché si vedeva un po’ di pancetta». La magrezza patologica, corroborat­a dalle inquietudi­ni e camuffata sotto le felpe abbondanti, ha così preso il sopravvent­o. «Era arrivata a mangiare, nell’arco di una giornata, una mela, due fette di zucchine grigliate, qualche cracker. Nel cuore della notte, di nascosto, faceva zoomba per bruciare calorie». Cristina, pur con le difficoltà per spostament­i e visite ambulatori­ali del periodo Covid, si rivolge al Centro di Gussago e la diagnosi è chiara: anoressia nervosa grave. Inizia il percorso da esterna. Le lunghe settimane che precedono il ricovero, però, restano scandite dalle difficoltà ad alimentars­i, dalla vergogna per il proprio corpo e dai tagli autoinflit­ti sulle gambe. «Mi raccontava che sentiva una voce che le diceva di non mangiare. Ero devastata dalla sensazione di impotenza, soprattutt­o quando ci avevano avvisati della possibilit­à di scompensi cardiaci. E così, di notte andavo in camera sua per vedere se fosse ancora viva», racconta Cristina, allora travolta anche dal pensiero per il resto della famiglia e i cari portati via dal Covid. A settembre, il ricovero. Dopo settimane infinite, qualche incontro, le videochiam­ate, immaginand­o, presto, di nuovo a casa la Laura di un tempo. «Leggevo libri sull’anoressia per sentirmi più pronta». A maggio, peso recuperato e dimissioni. Però «io non sto ancora bene”, dice Laura. E prosegue il percorso con uno psicologo esterno al centro. Ma la svolta arriva con il ritorno repentino da una vacanza con amici. «Avevo voluto darle fiducia perché si mettesse alla prova da sola. Ma si sentiva a disagio e dopo 48 ore era a casa. Dopo un paio di giorni, però, mi ha detto: “ma che vita sto facendo? Devo guarire”. Ed è cambiato tutto». Un crescendo di peso, di buonumore, di fette di torta e cucchiaiat­e di gelato condivise con mamma. «Resta ancora un po’ di strada da fare. Ma alle mamme nella mia situazione dico, innanzitut­to, di affidarsi a specialist­i dei disturbi alimentari, di non essere troppo protettive coi figli, perché anche loro riescano a reagire, e di non perdere mai la speranza». E, tra un esame e l’altro all’università, Laura ora le scrive: «grazie, mamma. Mi hai salvato la vita».

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Calvario Per pazienti e genitori

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