Il lungo filo nero che collega FdI all’eredità fascista
Ai vertici della destra italiana
Giorgio Almirante e Gianfranco Fini nel 1987
Storico, consulente della Procura di Bologna (inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980), già consulente della Procura di Brescia per la strage del 28 maggio 1974, Davide Conti presenta oggi (ore 18,45) nella sede di Nuova Libreria Rinascita in via della Posta 7 Fascisti contro la democrazia. Almirante e Rauti alle radici della destra italiana (Einaudi), analisi delle vicende che hanno avuto come protagonista il partito della destra italiana dal 1946 al 1976.
Partiamo dal titolo: in che senso «Fascisti contro la democrazia»?
«Perché sin dalla nascita, il 26 dicembre 1946, la misura e la cifra di quel partito si esprime attraverso l’opposizione conclamata alla Costituzione, alla Resistenza e alla democrazia repubblicana».
Nel libro risalta un’ambiguità di fondo del Movimento sociale.
«Sicuramente bisogna considerare il contesto, il conflitto Est Ovest, l’avere in Italia il partito comunista più forte d’Occidente, tutti fattori che fecero sì che anche un partito come l’Msi venisse considerato dalle classi dirigenti italiane e anche atlantiche una riserva di ultima istanza. È stato l’anticomunismo a rendere possibile questa collocazione ambigua del movimento sociale: ostile alla Costituzione ma fedele agli equilibri di Yalta».
Rauti fu sicuramente più radicale.
«Sì ma tutto sommato, nella sua postura estremista, la sostanza è comunque quella di una figura politica che sa collocarsi dentro lo spirito del tempo, nel campo atlantista».
Una certa narrazione descrive la destra negli anni Settanta come vittima della violenza di sinistra.
«Nel libro riporto statistiche del ministero dell’Interno che non lasciano dubbi sul ruolo violento dell’estrema destra in quegli anni. E anche sui rapporti porosi tra destra extraparlamentare ed Msi».
Fratelli d’Italia cosa eredita di quella storia?
«La nascita di FdI è l’espressione della rottura con il percorso di Alleanza nazionale avviato da Gianfranco Fini. È un ritorno alle origini. Per molti anni ha avuto consensi limitati poi, ponendosi come alternativa di sistema al partito unico di Draghi, ha fatto il pieno di consensi e oggi, sul piano sociale, si propone come rappresentazione di un blocco che era confluito nel centrodestra berlusconiano».
Sicuramente una base più ampia di quel pezzo che si richiama a una certa storia. Sabato sarà in città per parlare di foibe e dell’esodo di 300mila giuliano dalmati.
«Su quelle vicende, in realtà, non c’è mai stata la coltre di silenzio narrata oggi. Dopo la guerra ci furono anche processi e condanne per quei fatti. Il tema è che quando De Gasperi firmò il Trattato di Pace nel 1947 preferì non sollevare la questione perché sarebbe stato scoperchiato il vaso di pandora dei crimini compiuti dai fascisti durante l’occupazione. E quindi anche la questione dei risarcimenti, col rischio peraltro di un effetto a catena per Albania, Grecia, Libia. Comunque, dopo la guerra ci furono anche 10 milioni di tedeschi espulsi da Polonia, Jugoslavia, Boemia e altri territori ma a nessun cancelliere tedesco è mai venuto in mente di istituire un giorno del ricordo. Ma loro hanno avuto Norimberga, mentre noi continuiamo ad alimentare il mito del bravo italiano».