Picasso al Mudec potenza primitiva
Quaranta opere in dialogo con pezzi etnografici delmuseo Destrutturazione della forma e pittura come ritomagico
Ci vuole coraggio a pensare di organizzare una mostra su Picasso dopo che l’intero 2023 è stato dedicato alle celebrazioni per i 50 anni dalla morte dell’artista spagnolo. Ma siccome le esposizioni del Mudec non ambiscono a passare alla storia e hanno invece imparato a puntare tutto su una didattica chiara, divulgativa e tuttavia non banale, ecco che si può benedire l’arrivo fuori tempo massimo anche di «Picasso. La metamorfosi della figura». Per raccontare un artista, il Mudec sceglie un tema, spesso collegato alla sua collezioni etnografiche, e lo affida a dei professionisti con lo scopo di insegnare qualcosa ai visitatori. Come una lezione di due ore. Ma non è poco.
Anche questa mostra si attiene allo schema. Tutti sappiamo dai banchi di scuola (o, appunto, dalle decine di precedenti mostre) che Picasso rimane folgorato dall’arte primitiva e in particolare da quella africana. Lavorando su questo dato di partenza, la mostra accosta quaranta opere del maestro spagnolo (dipinti, sculture, disegni) con reperti etnografici. Tutti collegati con rigore per spiegare come Picasso sia arrivato «A destrutturare la forma, come facevano gli artisti africani», racconta Malén Gual, conservatrice onoraria del museo Picasso di Barcellona e curatrice della mostra assieme a Ricardo Ostalé.
La storia ha inizio con la scoperta delle collezioni etnografiche del museo parigino del Trocadero che all’epoca era un deposito disordinato, buio e puzzolente di muffa. «Ho capito per quale ragione ero pittore. Completamente solo in quel museo orribile, davanti a maschere, bambole pellerossa, manichini polverosi. Le “Demoiselles d’Avignon” dovevano nascere quel giorno, ma non certo per una ragione formale, bensì perché si trattava del mio primo dipinto di esorcismo», confessò Picasso. La pittura, dunque, passava dall’essere un processo estetico a una «forma di magia che si interpone tra l’universo ostile e noi». Una rivoluzione perché le Demoiselles del 1907 segnano la data di nascita del Cubismo e la rottura definitiva con i valori del bello, dell’armonia, del buon gusto, della tecnica e di ogni altro valore su cui si erano fondati quasi due millenni di arte occidentale.
In mostra ventisei studi tratti dal Quaderno n.7 della Fondazione Pablo Ruiz Picasso - museo Casa Natal di Malaga, sono un’impressionante documentazione della nascita del celebre quadro proprio grazie alla scoperta dell’Art nègre. Subito nella stanza successiva ecco poi apparire il dipinto « Femme nue » , altro preludio delle Demoiselles proveniente dal nostro Museo del Novecento. Qui, isolato e ben contestualizzato, appare di una potenza infinitamente maggiore rispetto alla sua collocazione nell’affollato spazio dell’Arengario ed è come vedere il dipinto per la prima volta. Una dopo l’altra le cinque sezioni della mostra raccontano che l’infatuazione di Picasso per l’arte primitiva cova come la brace sotto la cenere per l’intera vita. Si evolve, muta, si attenua e ricomincia. Ma ruota sempre intorno a quella potenza erotica e ancestrale rivelata nel Trocadero.