Corriere della Sera (Brescia)

Picasso al Mudec potenza primitiva

Quaranta opere in dialogo con pezzi etnografic­i delmuseo Destruttur­azione della forma e pittura come ritomagico

- Francesca Bonazzoli

Ci vuole coraggio a pensare di organizzar­e una mostra su Picasso dopo che l’intero 2023 è stato dedicato alle celebrazio­ni per i 50 anni dalla morte dell’artista spagnolo. Ma siccome le esposizion­i del Mudec non ambiscono a passare alla storia e hanno invece imparato a puntare tutto su una didattica chiara, divulgativ­a e tuttavia non banale, ecco che si può benedire l’arrivo fuori tempo massimo anche di «Picasso. La metamorfos­i della figura». Per raccontare un artista, il Mudec sceglie un tema, spesso collegato alla sua collezioni etnografic­he, e lo affida a dei profession­isti con lo scopo di insegnare qualcosa ai visitatori. Come una lezione di due ore. Ma non è poco.

Anche questa mostra si attiene allo schema. Tutti sappiamo dai banchi di scuola (o, appunto, dalle decine di precedenti mostre) che Picasso rimane folgorato dall’arte primitiva e in particolar­e da quella africana. Lavorando su questo dato di partenza, la mostra accosta quaranta opere del maestro spagnolo (dipinti, sculture, disegni) con reperti etnografic­i. Tutti collegati con rigore per spiegare come Picasso sia arrivato «A destruttur­are la forma, come facevano gli artisti africani», racconta Malén Gual, conservatr­ice onoraria del museo Picasso di Barcellona e curatrice della mostra assieme a Ricardo Ostalé.

La storia ha inizio con la scoperta delle collezioni etnografic­he del museo parigino del Trocadero che all’epoca era un deposito disordinat­o, buio e puzzolente di muffa. «Ho capito per quale ragione ero pittore. Completame­nte solo in quel museo orribile, davanti a maschere, bambole pellerossa, manichini polverosi. Le “Demoiselle­s d’Avignon” dovevano nascere quel giorno, ma non certo per una ragione formale, bensì perché si trattava del mio primo dipinto di esorcismo», confessò Picasso. La pittura, dunque, passava dall’essere un processo estetico a una «forma di magia che si interpone tra l’universo ostile e noi». Una rivoluzion­e perché le Demoiselle­s del 1907 segnano la data di nascita del Cubismo e la rottura definitiva con i valori del bello, dell’armonia, del buon gusto, della tecnica e di ogni altro valore su cui si erano fondati quasi due millenni di arte occidental­e.

In mostra ventisei studi tratti dal Quaderno n.7 della Fondazione Pablo Ruiz Picasso - museo Casa Natal di Malaga, sono un’impression­ante documentaz­ione della nascita del celebre quadro proprio grazie alla scoperta dell’Art nègre. Subito nella stanza successiva ecco poi apparire il dipinto « Femme nue » , altro preludio delle Demoiselle­s provenient­e dal nostro Museo del Novecento. Qui, isolato e ben contestual­izzato, appare di una potenza infinitame­nte maggiore rispetto alla sua collocazio­ne nell’affollato spazio dell’Arengario ed è come vedere il dipinto per la prima volta. Una dopo l’altra le cinque sezioni della mostra raccontano che l’infatuazio­ne di Picasso per l’arte primitiva cova come la brace sotto la cenere per l’intera vita. Si evolve, muta, si attenua e ricomincia. Ma ruota sempre intorno a quella potenza erotica e ancestrale rivelata nel Trocadero.

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Nella foto grande, «Nudo accovaccia­to» (1961). Sotto Divinità Alusi, popolazion­e Igbo, Nigeria, primo ‘900
(foto Furlan/ LaPresse)
Figure Nella foto grande, «Nudo accovaccia­to» (1961). Sotto Divinità Alusi, popolazion­e Igbo, Nigeria, primo ‘900 (foto Furlan/ LaPresse)

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