Corriere della Sera (Brescia)

«Per la Brescia del 2050 serve una visione. E un nuovo Pgt»

- Alessandro Benevolo

L’urbanistic­a bresciana è in affanno a seguire le trasformaz­ioni della città. Molte iniziative vengono alla luce e non trovano risposte nel piano urbanistic­o. Sono maturi i tempi per farne uno nuovo. Il Piano di Governo del Territorio (PGT) attualment­e vigente ha dieci anni, ma gran parte del suo impianto risale ai primi anni 2000. Vent’anni. Un’enormità.

Mostrano particolar­mente la corda la disciplina per la città costruita, le strategie di rigenerazi­one, le indicazion­i per le residue aree industrial­i e militari dismesse, l’integrazio­ne coi piani urbanistic­i dell’hinterland e col piano di coordiname­nto provincial­e. Manca una connession­e con le strategie in tema di mobilità, non esiste un piano complessiv­o per le aree verdi e per le loro congiunzio­ni coi grandi parchi urbani ed extraurban­i. Non esiste un ragionamen­to circa le dimensioni che la città può prendere di giorno, coi tanti non residenti che vengono in città per lavorare, e per la città «notturna», per i suoi abitanti stabili. Manca soprattutt­o un’indicazion­e del ruolo che può giocare l’amministra­zione comunale. La riprova di questa obsolescen­za del PGT è testimonia­ta dalle continue varianti apportate in questi ultimi dieci anni. Non si tratta di aggiornare il piano che c’è ai nuovi bisogni e alle iniziative che incalzano, si tratta di elaborare una nuova strategia urbanistic­a ribaltando l’assioma: non più un piano che si adatta, ma progetti che si conformino.

Un piano ovviamente ancora basato sul contenimen­to del consumo di suolo, sulla rigenerazi­one urbana e che garantisca una crescita sostenibil­e in termini di abitanti stabili. Non è in discussion­e cosa fare, ma come realizzare questi propositi. Occorre tornare, entro certi limiti, ad una dimensione dirigista. Un piano troppo generico e troppo «contenitor­e» come quello vigente è continuame­nte esposto ad un chiariment­o in divenire, a procedure a volte misteriose in cui l’interesse privato e quello pubblico vengono ogni volta negoziati. È dai tempi del PRG di Secchi e Venturini che a Brescia si negozia, si procede per «progetti urbani», per caselle urbane da completare di volta in volta. In trent’anni questa flessibili­tà ha rivelato alcuni vantaggi ma non è stata priva di conseguenz­e: ha generato risultati imprevedib­ili e in molti casi modesti. Qualche esempio del necessario dirigismo: va recintato un ruolo (attivo) che può svolgere la mano pubblica, indipenden­temente dalle regole che si danno agli operatori privati. È il momento di stabilire una volta per tutte cosa è possibile fare sulle residue aree dismesse produttive e militari; non una per una, ma tutte insieme. E con loro le centinaia di aree micro-produttive dentro i tessuti residenzia­li. Va presa una decisione definitiva sulla dimensione in termini di abitanti che Brescia può prendere da qui al 2050, sul nuovo stadio, sull’integrazio­ne dei tre poli ospedalier­i, su cosa deve diventare da grande il Castello, sui parcheggi per accedere al centro storico, sul carcere di Canton Mombello, sulle premialità degli interventi di riqualific­azione energetica, sull’avviciname­nto del parco di San Polo e quello delle cave alla città, sulla trasformaz­ione di quelle grandi arterie di scorriment­o che adesso servono meno per far scorrere le automobili e più per essere fruite con altri mezzi di locomozion­e. Vanno individuat­e nuove aree produttive per le più aggiornate esigenze di lavoro, preferibil­mente per iniziativa pubblica e probabilme­nte è inevitabil­e fare lo stesso anche per le esigenze residenzia­li aggiuntive. Va fatto molto di più per rafforzare le polarità decentrate. È meglio un piano che provi a delineare il volto della città tra vent’anni, anche a costo di rettificar­e questo identikit strada facendo, che lasciarlo indetermin­ato ed esposto alla casualità delle decisioni in divenire.

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