«Per la Brescia del 2050 serve una visione. E un nuovo Pgt»
L’urbanistica bresciana è in affanno a seguire le trasformazioni della città. Molte iniziative vengono alla luce e non trovano risposte nel piano urbanistico. Sono maturi i tempi per farne uno nuovo. Il Piano di Governo del Territorio (PGT) attualmente vigente ha dieci anni, ma gran parte del suo impianto risale ai primi anni 2000. Vent’anni. Un’enormità.
Mostrano particolarmente la corda la disciplina per la città costruita, le strategie di rigenerazione, le indicazioni per le residue aree industriali e militari dismesse, l’integrazione coi piani urbanistici dell’hinterland e col piano di coordinamento provinciale. Manca una connessione con le strategie in tema di mobilità, non esiste un piano complessivo per le aree verdi e per le loro congiunzioni coi grandi parchi urbani ed extraurbani. Non esiste un ragionamento circa le dimensioni che la città può prendere di giorno, coi tanti non residenti che vengono in città per lavorare, e per la città «notturna», per i suoi abitanti stabili. Manca soprattutto un’indicazione del ruolo che può giocare l’amministrazione comunale. La riprova di questa obsolescenza del PGT è testimoniata dalle continue varianti apportate in questi ultimi dieci anni. Non si tratta di aggiornare il piano che c’è ai nuovi bisogni e alle iniziative che incalzano, si tratta di elaborare una nuova strategia urbanistica ribaltando l’assioma: non più un piano che si adatta, ma progetti che si conformino.
Un piano ovviamente ancora basato sul contenimento del consumo di suolo, sulla rigenerazione urbana e che garantisca una crescita sostenibile in termini di abitanti stabili. Non è in discussione cosa fare, ma come realizzare questi propositi. Occorre tornare, entro certi limiti, ad una dimensione dirigista. Un piano troppo generico e troppo «contenitore» come quello vigente è continuamente esposto ad un chiarimento in divenire, a procedure a volte misteriose in cui l’interesse privato e quello pubblico vengono ogni volta negoziati. È dai tempi del PRG di Secchi e Venturini che a Brescia si negozia, si procede per «progetti urbani», per caselle urbane da completare di volta in volta. In trent’anni questa flessibilità ha rivelato alcuni vantaggi ma non è stata priva di conseguenze: ha generato risultati imprevedibili e in molti casi modesti. Qualche esempio del necessario dirigismo: va recintato un ruolo (attivo) che può svolgere la mano pubblica, indipendentemente dalle regole che si danno agli operatori privati. È il momento di stabilire una volta per tutte cosa è possibile fare sulle residue aree dismesse produttive e militari; non una per una, ma tutte insieme. E con loro le centinaia di aree micro-produttive dentro i tessuti residenziali. Va presa una decisione definitiva sulla dimensione in termini di abitanti che Brescia può prendere da qui al 2050, sul nuovo stadio, sull’integrazione dei tre poli ospedalieri, su cosa deve diventare da grande il Castello, sui parcheggi per accedere al centro storico, sul carcere di Canton Mombello, sulle premialità degli interventi di riqualificazione energetica, sull’avvicinamento del parco di San Polo e quello delle cave alla città, sulla trasformazione di quelle grandi arterie di scorrimento che adesso servono meno per far scorrere le automobili e più per essere fruite con altri mezzi di locomozione. Vanno individuate nuove aree produttive per le più aggiornate esigenze di lavoro, preferibilmente per iniziativa pubblica e probabilmente è inevitabile fare lo stesso anche per le esigenze residenziali aggiuntive. Va fatto molto di più per rafforzare le polarità decentrate. È meglio un piano che provi a delineare il volto della città tra vent’anni, anche a costo di rettificare questo identikit strada facendo, che lasciarlo indeterminato ed esposto alla casualità delle decisioni in divenire.