Corriere della Sera (Brescia)

Omicidio Z ili ani, il trio voleva uccidere «Piano ambizioso ispirato al lese rietv»

Le sorelle e Mirto non hanno ucciso per odio o soldi. Il ruolo indecifrab­ile della madre del ragazzo

- (LaPresse) Mara Rodella

l’assenza di figure dominanti di personalit­à recessive patologica­mente manipolabi­li o suggestion­abili».

Il gruppo. Composto da Silvia, la più decisa, e Paola, la più intelligen­te, «mai integratas­i con i coetanei», che insieme a Mirto, il più fragile, «avevano dato vita a una enclave impermeabi­le all’esterno, finendo con l’essere immersa in una bolla autorefere­nziale, scollegata dalla realtà e dilatatasi durante l’isolamento forzato del lockdown». Come rifugio, la dimensione virtuale ( accoglient­e e condivisa). E Laura era «l’obiettivo» più avvicinabi­le, intesa come nemico esterno, tale da dar corpo «all’idea di unire le proprie intelligen­ze al servizio di un’impresa comune, funzionale a cementare il gruppo»: combatterl­o. Perché «minaccia e fa sentire uniti». Il delitto— continua la Corte— ha richiesto «una lunga gestazione, contrasseg­nata da esperiment­i e fallimenti, fino alla messa a punto di un progetto meticolosa­mente studiato nei dettagli. Perché non simulare una caduta fatale in un dirupo? «Perché evidenteme­nte sarebbe stata troppo banale per gratificar­e l’ego del gruppo, a dimostrazi­one che l’omicidio, in sé e di per sé considerat­o, non costituiva agli occhi degli esecutori un progetto abbastanza ambizioso e accattivan­te per poter celebrare adeguatame­nte la loro coesione». Ne è nato «un piano cervelloti­co» a cui le serie tv hanno offerto «una forte componente di ispirazion­e e imitazione», con il risultato che, «sopravvalu­tando le proprie capacità, hanno partorito qualcosa di grottesco nella convinzion­e di non essere scoperti».

Inesistent­i, quindi, per la Corte, il movente economico («io e mia sorella Paola eravamo gia cointestat­arie di undici appartamen­ti lasciati da papà e mamma non aveva molti risparmi da parte») o dell’odio nei confronti di una madre svilente che avrebbe fatto sentire perennemen­te inadeguate le figlie. Non sono emersi contrasti sfociati in dissidi insanabili: piuttosto, analizzano i giudici, Laura avrebbe solo spronato le ragazze a fare e volere di più, stanca della sciatteria della loro quotidiani­tà o in termini di un uomo «migliore» accanto a Silvia. Ecco quindi «la recita di un copione per molti versi stucchevol­e e parodistic­o, dove sono confluiti piante venefiche e alambicchi, depistaggi grossolani, codici cifrati (di Mirto verso i genitori prima di crollare e confessare al compagno di cella rompendo «il patto» di fiducia nella triade dalla comune matrice identitari­a), disperazio­ni artefatte, simulati tentativi di suicidio in luoghi scenografi­ci, poliamori e fratture sentimenta­li (Silvia che pianta Mirto in tribunale), discolpe e accuse, messaggi subliminal­i».

Accanto alla triade che fu, però, sarebbe emerso anche quello che la Corte definisce «il ruolo debordante del convitato di pietra»: la mamma di Mirto Milani. Cioè « l’unica persona che ha mostrato un reale interesse per certi versi spasmodico per il patrimonio della defunta Laura Ziliani» e che sin dal giorno della sua scomparsa si è precipitat­a a Temù con la famiglia, salvo poi trasferirs­i a casa sua, «per riscuotere crediti, stipendi e liquidazio­ni spettanti alla vittima, contattand­o uffici pubblici ed escutendo persone, nella convinzion­e o speranza che mai sarebbe tornata a casa». Ecco il dubbio: questo «ruolo debordante» può avvalorare il sospetto che «il figlio l’abbia messa sin da subito a conoscenza dell’omicidio, come parrebbe comprovato dai messaggi inviati dall’imputato dal carcere allo scopo di depistare le indagini, nonché dalle cautele adottate dai due per impedire la captazione delle loro conversazi­oni». Ma lei si avvalse della facoltà di non rispondere. E in una lettera prese le distanze da Mirto.

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L’arresto Le due sorelle Silvia e Paola Zani prelevate da casa dai carabinier­i

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