Corriere della Sera (Brescia)

La resistenza delle abitudini e la ragione per cui cambiare

- Di Massimilia­no Del Barba mdelbarba@corriere.it

Tre movimenti diversi che innescano tre problemati­che diverse e che richiedono tre approcci diversi. Secondo l’ultimo Rapporto sulla mobilità redatto lo scorso novembre dall’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti, negli ultimi dieci anni si è però notata una costante, cioè «la marcata resistenza delle abitudini negli stili e nei comportame­nti di mobilità degli italiani» che sembra aver portato alla sottovalut­azione dell’evoluzione tecnologic­a delle forme di mobilità alternativ­e all’auto privata. «L’immagine generale che emerge, insomma, è di una trama di continuità dei modelli e degli stili di mobilità degli italiani con molte variazioni che ne modulano gli intrecci senza però cambiarne il disegno di fondo», scrivono i ricercator­i dell’Isfort. Un dato può aiutare il ragionamen­to: l’80% delle percorrenz­e si esaurisce nel bordo dei 10 chilometri. Stiamo parlando, in altre parole, di un «pendolaris­mo di prossimità», ed è forse questa la ragione dell’atteggiame­nto «conservato­re» registrato dallo studio e oltremodo evidente sulle strade che attraversa­no Brescia nelle ore di punta: non c’è alcuna ragione pratica per abbandonar­e il buon, vecchio, comodo e flessibile trasporto privato per sperimenta­re servizi tecnologic­amente più innovativi e soluzioni ambientalm­ente più sostenibil­i. Non c’è alcuna ragione pratica per lasciare in garage l’auto e accompagna­re i figli a scuola in bicicletta. Non c’è alcuna ragione pratica per utilizzare un parcheggio scambiator­e e venire in centro in metropolit­ana per lo shopping del sabato. Non c’è alcuna ragione pratica per utilizzare l’autobus per andare in ufficio. Non c’è alcuna ragione pratica per cambiare. Ce ne è tuttavia una etica, che interroga il modello di consumo che la nostra generazion­e di padri e di madri ha intenzione di lasciare in eredità alle coscienze (più o meno critiche) dei nostri figli. Perché più delle leggi, più dei cartelli stradali, più delle linee tratteggia­te sull’asfalto, più dei varchi elettronic­i, è la voglia di insegnare qualcosa di bello, di giusto e di salutare a rendere il cambio di abitudine praticamen­te sostenibil­e.

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