Annegò a sette anni La pm: condannare i genitori e i bagnini
«È una vicenda tragica, la morte di un bambino di sette anni. Ma fu causata dalla somma di più condotte negligenti e colpose: non è stata una mera fatalità». Per la pm Federica Ceschi, quindi, «avrebbe potuto essere evitata». Per questo ha chiesto la condanna per tutti e quattro gli imputati in dibattimento dell’omicidio colposo del piccolo Ansh: origini indiane, alle 16 circa del 19 luglio 2020 morì annegato nella vasca grande dell’impianto di Lamarmora. Il giorno dopo avrebbe compiuto otto anni. E non sapeva nuotare. Il pubblico ministero ha quantificato una pena di sei mesi a carico dei genitori che, rimasti nel prato, «non l’hanno sorvegliato a dovere, nè munito di braccioli o salvagente, esponendolo al rischio di annegare», stessa condanna per uno dei due bagnini (il maggiorenne) in servizio a bordo piscina — «non ha prestato la dovuta attenzione svolgendo le sue mansioni, in modo da correre prontamente ad aiutare il bambino, perché di lui, da solo in acqua, non si è accorto in tempo» — e nove mesi, invece, «in virtù del suo ruolo» al responsabile degli assistenti bagnanti e della gestione della piscina: «Quel giorno non ha predisposto un adeguato servizio di sorveglianza visto il livello di affollamento. Non solo i quattro bagnini al lavoro non erano sufficienti, ma il più esperto era stato adibito al controllo biglietti in ingresso». Inoltre, «dopo l’incidente avrebbe provato a concordare una versione unica con la segretaria e provveduto affinché tutto fosse in regola, a partire dall’esposizione dei regolamenti». Tutti e quattro, dunque, per l’accusa avrebbero concorso a cagionare la morte del piccolo. Fino a poco prima Ansh stava giocando con il fratello di 10 anni nella vasca piccola, poi le urla e la disperazione.
Già archiviate al Tribunale dei minorenni, su richiesta della Procura, le posizioni di altri tre bagnini indagati. Il prossimo 22 aprile è prevista sentenza, dopo la discussione delle difese.