Ucciso in viaMilano, tre non rispondono Altri tre negano: «Non siamo stati noi»
Chi è pronto a dimostrare di avere un alibi, chi c’era ma non ha fatto nulla, chi dall’auto non sarebbe mai sceso. E chi tace. Sono comparsi dal giudice per l’interrogatorio di convalida i sei presunti responsabili, tutti connazionali, dell’omicidio di Ranjit Singh: 51 anni, origini indiane, è stato ucciso la sera della vigilia di Natale in via Milano. Accoltellato a morte.
Il presunto mandante (difeso dall’avvocato Vincenzo Copeta) è il suo ex datore di lavoro, 48 anni, imprenditore edile di Bagnolo che avrebbe agito per vendetta (dopo tre incendi ad altrettanti mezzi aziendali): si è avvalso della facoltà di non rispondere. Così come in silenzio sono rimasti due dei cinque ritenuti esecutori del delitto, traditi dai telefonini intercettati zona. In tre invece hanno parlato (due davanti al gip di Brescia Matteo Grimaldi, uno di Cremona, dove vive) per negare gli addebiti. Uno sostiene di essere partito da San Giovanni in Croce, quella sera, a bordo della Bmw di un amico— per chi indaga faceva la spola per strada durante il delitto— per andare a prenderlo a Brescia e trascorrere la vigilia insieme: «Lo stavo seguendo, non sapevo dove stessero andando». Ma «è successo un casino, andiamo via» gli avrebbe risposto l’amico, che invece era sulla Volkswagen Golf insieme ad altri tre «che non conoscevo. Siamo arrivati da Leno in città, avremmo dovuto andare in qualche locale. Ma loro sono scesi dall’auto e hanno litigato con un tale, io sono sempre rimasto a bordo». «Non ero in via Milano, non mi sono mai mosso da Leno, quella sera, e ho testimoni pronti a confermarlo» ha detto il presunto complice: lo smartphone che avrebbe avuto in uso è stato trovato in via Milano. «No, non l’avevo io», ribatte. L’avvocato Walter Ventura, che li difende, ha chiesto i domiciliari. Il gip di Cremona per ora ha confermato il carcere. (m.rod.)