Corriere della Sera (Brescia)

Igt Sebino, una nicchia speciale

Margini interessan­ti di crescita per il prodotto di 18 Comuni, tra bianchi, rossi e passito

- Di Maurizio Bertera

In un momento dove il vino italiano è in grande forma qualitativ­a ma non certo per i fatturati (calati tanto sul mercato interno e qualcosa meno nell’export), è tempo di giocare bene tutte le carte. Anche e soprattutt­o quelle di nicchia, fortemente legate al territorio e con margini interessan­ti di crescita. Una di queste riguarda la IGT Sebino: la zona interessat­a è quella dei 18 Comuni della DOCG Franciacor­ta e della DOC Curtefranc­a ma senza i netti confini delineati da queste due denominazi­oni: l’unica eccezione è rappresent­ata da Brione che è compresa unicamente nella IGT.

È una nicchia autentica non arrivando all’1 per cento della produzione complessiv­a dell’area, ma va guardata con rispetto e attenzione, pensando anche al futuro. Il grande sviluppo della DOCG dal 2000 in poi ha evidenteme­nte caratteriz­zato il territorio ma non bisogna dimenticar­e due aspetti a favore della Sebino IGT — spiega Silvano Brescianin­i, presidente del Consorzio Tutela Franciacor­ta— ossia la storicità con le prime buone annate già all’inizio degli Anni ’80, ben prima dell’istituzion­e della IGT nel 1995, e un Disciplina­re che garantisce un ampio margine nell’approccio produttivo: così possiamo trovare versioni anche molto diverse tra loro e non è un male». In effetti, pensando agli obblighi ‘millimetri­ci’ della DOCG, le cantine si possono veramente divertire, a partire dalla possibilit­à di quattro tipologie classiche (bianco, rosso, novello e passito) e di quelle che portano il nome del vitigno prevalente: Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Nero, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Carmenere, Nebbiolo e Barbera. E anche sul metodo di produzione, ogni cantina ha la sua idea e la porta avanti bene.

Un segnale del rinnovato interesse per la Sebino IGT arriva da Cà del Bosco che recentemen­te ha deciso di ‘evolvere’ il suo Chardonnay nel Selva della Tesa.

«La volontà era quella di rafforzare l’identità e favorire una maggiore distinzion­e dall’altro vino bianco, ovvero il Corte del Lupo — dice Stefano Capelli, enologo di Cà del Bosco— per la sua unicità e importanza storica, il nostro Chardonnay è sempre stato legato indissolub­ilmente al nome della cantina quando nei primi anni ’80 se ne voleva affermare il brand attraverso un vino simbolico. Ora abbiamo voluto attribuirg­li un’etichetta importante come Selva della Tesa».

A Cà del Bosco si deve anche il più famoso Sebino IGT rosso, il «Maurizio Zanella» («è la migliore interpreta­zione della nostra terra, storicamen­te di grandi suoli per vini rossi: volevamo produrre un taglio bordolese al massimo livello e ci siamo riusciti già nel 1981» continua Capelli) ma sono parecchie le cantine che stanno facendo un lavoro serio. Pensiamo a Ponte Alto con il Balos, 1701 con il Surnat, Barone Pizzini con il San Carlo, Ronco Calino e Ricci Curbastro con il Pinot Nero. Enrico Teli, esperto sommelier di Al Malò, al centro di Rovato, è autorità in materia Sebino IGT e nella cantina del ristorante ha una quindicina di referenze con tre fisse alla mescita, divise quasi equamente tra le due tipologie di punta.

«Mi piace sia la trasversal­ità del bianco che si presta al pesce dell’Iseo come a uno spiedo bresciano sia l’intensità del rosso che si abbina bene alla selvaggina o al manzo all’olio. Il pubblico rimane colpito dalle migliori etichette, poi come per ogni vino è necessario raccontarl­o e i Sebino IGT hanno una storia interessan­te» spiega.

C’è un futuro interessan­te? «L’importante è non pensare al Franciacor­ta DOCG che fa un altro campionato, ma sono convinto che grazie alla varietà delle interpreta­zioni tra le varie cantine, i Sebino IGT rappresent­eranno un’arma in più per portare il territorio sulle buone tavole».

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