Responsabilità sociale In 5 anni 1miliardo emezzo dalle casse di Banca Intesa per contrastare la povertà
Nuova sede in centro. Bazoli: «Ciò nobilita il lavoro bancario»
Brescia da ieri è tornata a essere capitale. Non più della cultura ma della responsabilità sociale, della lotta alla diseguaglianza, di una finanza che affronta sfide etiche. Annunciata a ottobre, è stata ufficialmente inaugurata la sede di «Intesa Sanpaolo per il sociale». Il primo gruppo bancario italiano, una delle prime cinque aziende nazionali, ha scelto come base della sua nuova unità operativa la storica sede del Cab in via Trieste 8 (piazza Paolo VI, di fatto).
L’edificio che ha visto i fasti della finanza laica bresciana da ieri è il cuore pulsante (e pensante) della struttura di Intesa che in cinque anni vuole erogare 1 miliardo e mezzo di euro su tutto il territorio nazionale a progetti che contrastino la povertà e facciano crescere l’inclusione sociale. «Una società forte e coesa favorisce anche lo sviluppo economico» ha ricordato Paolo Bonassi, responsabile del progetto. Il team lavorerà lungo tre filoni: il sociale, il contrasto alla povertà educativa, la regia fatta di studio, analisi, ricerca, misurazione d’impatto.
Intesa per il sociale non opererà per bandi ma creerà tavoli con enti e associazioni, erogherà contributi a fondo perduto e, se del caso, aiuterà nell’accesso al credito. La sede bresciana è una grande opportunità per la nostra città, ha ricordato la sindaca Laura Castelletti, ed è una sfida per il terzo settore, ha sottolineato Valeria Negrini che di questa galassia è portavoce in Lombardia. Concetto ripreso da Giovanni Bazoli, presidente emerito di Banca Intesa, artefice riconosciuto di tutto ciò. «I bresciani dovranno dimostrare
di avere meritato questa iniziativa, contribuendo al suo successo» ha sostenuto Bazoli, al termine di un intervento in cui ha collocato la nascita di Intesa per il sociale, e la sua sede bresciana, nella lunga storia bancaria che l’ha visto protagonista dal 1982. Un punto di svolta è stata la fine di Ubi, nel 2020. Una banca che «aveva rappresentato un’idea valida per Brescia
e Bergamo», «che poteva diventare il terzo gruppo bancario italiano»: un progetto però «rovinato dalle fratture del mondo bergamasco» e dalla denuncia alla magistratura con la conseguente inchiesta «che ha paralizzato per anni la banca». Bazoli (che non ha avuto parte nell’Opa, ma l’ha approvata) sostiene che «fra Intesa e Ubi non ha tuttavia vinto una banca ma un’idea di banca». La stessa incarnata dalle storiche banche bresciane, poi dal Nuovo Banco Ambrosiano, e proveniente dai modelli di Cariplo e Comit: «L’idea che la banca è un’impresa ma di natura speciale, perché tocca un bene tutelato dalla Costituzione – il risparmio – e perché esercita una responsabilità sociale prendendosi cura di soggetti diversi dagli azionisti, elevando le condizioni sociali di un territorio». Questi – ha ribadito il presidente emerito di Banca Intesa - «sono i momenti alti che nobilitano il lavoro bancario». Un lavoro che ha obiettivi impegnativi: «Difendere l’immenso valore etico dell’uguaglianza, assumere il grandioso compito di mitigare il divario sociale, di ridurre la diseguaglianza dei cittadini, per consentire a tutti di realizzarsi. Nessuno escluso».
Su questa strada il credito incontra «l’inventiva straordinaria del volontariato che deve trovare nella nostra banca un sostegno adeguato, perché la banca deve essere impresa e istituzione al tempo stesso». Una sfida alta, come si vede, e un mandato impegnativo alla nuova struttura nazional-bresciana.i
"Giovanni Bazoli I bresciani dovranno dimostrare di avere meritato questa iniziativa
Obiettivi Mitigare il divario sociale, ridurre la diseguaglianza dei cittadini