Corriere della Sera - Io Donna
UN SELFIE DI LOTTA
sembra un selfie come tutti gli altri, due amiche si stringono e una delle due alza lo smartphone per immortalare i loro sorrisi. Nessuno ci baderebbe, a New York, a Roma o a Tokyo. Ma a Yangon ( la vecchia Rangoon, capitale della Birmania) i selfie sono diventati spesso gesti di lotta politica, dichiarazioni di protesta dissimulati dietro i sorrisi che sono sempre quelli. A guardar bene capita infatti che le due ragazze siano di colorito diverso, che una abbia il capo coperto da un velo o che abbia al collo una catenina con un crocefisso. Perché, nella Birmania neo- democratica che si avvia alle elezioni, le minoranze religiose come i cristiani e soprattutto i musulmani di etnia Rohingya sono ancora emarginate, se non (come nel caso dei Rohingya) duramente perseguitate dalla maggioranza buddista che occupa tutti i posti di potere. Per questo Wai Wai Nu, una attivista per la difesa dei diritti umani, ha fondato un movimento chiamato “amica mia”: una oppure un giovane buddista si fa un selfie con una o un musulmano, e l’immagine viene postata sui social network prima che qualcuno possa impedirlo. A Yangon le reazioni sono state talvolta favorevoli, più spesso furibonde. Ma la trovata di Wai Wai Nu resta geniale ( ha fatto più lei della tanto ossequiata Aung San Su Kyi, dicono alcuni) e soprattutto si presta a un’applicazione mondiale nella difesa dei diritti delle minoranze o semplicemente degli emarginati. Bastano un cellulare e due sorrisi.