Corriere della Sera - Io Donna

Cover story. Lynsey Addario. Il mio fronte è il mondo

Rapita e molestata in Libia. Maltrattat­a dai soldati israeliani. Sequestrat­a in Iraq. La vita della fotoreport­er Lynsey Addario, vincitrice del Premio Pulitzer, sembra un flm di Steven Spielberg. Infatti il regista ha già acquistato i diritti della sua bi

- di Paola De Carolis

Jeans, borsa griffata, braccialet­ti, trucco. Lynsey Addario è un vortice d’energia: frizzante, loquace, spiritosa. È negli occhi che le si legge la determinaz­ione che le ha permesso di arrivare al fronte, di conquistar­e la fducia di chi fotografa, di sopravvive­re al rapimento in Libia nel 2011. Minacciata, palpeggiat­a, picchiata per una settimana assieme a tre colleghi del New York Times, è uscita dall’esperienza più forte e più convinta dell’importanza del suo lavoro.

Ha perso il conto delle volte che le hanno chiesto perché: perché continua a rischiare la vita per fare foto, perché lascia fglio e marito senza avere la certezza che tornerà, perché ha continuato a cercare zone di guerra e pericolo anche quando era incinta. Il libro che ha scritto e illustrato con i suoi scatti - In amore e in guerra. La mia vita di fotografa di frontiera, uscirà in Italia il 1°ottobre - è un tentativo di formulare una risposta, anche se, alla fne, il motivo è semplice. «È ciò che faccio. Non potrei fare nient’altro» spiega Lynsey, che il 2 ottobre sarà a Milano ospite del Tempo delle donne (vedi a pag. 151). Figlia di emigrati italiani, cresciuta in una famiglia «tutt’altro che convenzion­ale» - quando era bambina, il padre ha scoperto di essere gay e ha lasciato la moglie per stabilirsi con un nuovo partner - Lynsey ha da sempre una determinaz­ione che le ha permesso di superare ostacoli di ogni tipo, dai mille “no” dell’inizio, alle critiche per scelte non sempre scontate. Steven Spielberg ha acquistato i diritti del libro e si parla di un flm con Jennifer Lawrence protagonis­ta.

Che cosa la motiva?

Le storie, la voglia di raccontare, di far conoscere altre realtà, le persone.

Dietro la macchina fotografca si sente più sicura?

No. A volte è un ostacolo. Sono lì per conoscere a fondo una persona, cogliere la sua essenza. L’obiettivo può creare diffdenza.

C’è mai stato un momento in cui avrebbe voluto fare qualcos’altro? No. Quando ho scritto il libro mi sono concessa la facoltà di vedere le cose in modo diverso ed è stato un po’ come tradire un amante.

Per lei che generalmen­te lavora con le immagini è stato diffcile scrivere?

Diffcile è stato il viaggio, anche se la parte introspett­iva è cresciuta lentamente. All’inizio l’idea era solo di mettere insieme pensieri e storie. In 15 anni non mi ero mai permessa di guardare indietro.

Lei dice del suo lavoro che è amore e tortura allo stesso tempo. In che senso?

Nel senso che non sono mai soddisfatt­a: la luce, l’angolo, la prospettiv­a, l’inquadratu­ra. C’è sempre qualcosa che avrei potuto fare meglio. A volte ci metto anni ad

Che cosa mi porto dentro del mio rapimento? Non mi sveglio nel cuore della notte in un bagno di sudore, ma ogni tanto qualche incubo arriva

ammettere, sì, quella era una bella foto.

È una donna in un mondo prevalente­mente maschile. Si sente un modello?

Assolutame­nte no, sono troppo presa dal momento, ma se il libro aiuterà qualcuna a credere di più in se stessa sono contenta. Il mio è un lavoro molto fisico. C’è l’attrezzatu­ra da portare, devi essere forte, spesso non hai una vita personale. Non è facile. Per me non è mai stato un problema. Mi sono detta: «È un mondo di uomini, io sono una donna». Inevitabil­mente ci sono situazioni in cui esserlo è uno svantaggio. Se c’è da realizzare un servizio sulla polizia in Afghanista­n sarebbe ridicolo spedire una donna, i poliziotti stessi non si sentirebbe­ro a loro agio. Allo stesso tempo se il servizio riguarda una ragazza stuprata è molto meglio... che vada io. Le differenze ci sono. Come donna devi saperle usare a tuo vantaggio. È circondata da storie di disperazio­ne, violenza, morte. È un bagaglio pesante da portare? Non ho un carattere che si incupisce facilmente, sono una persona felice, ma sicurament­e ciò che vedo si deposita in profondità. Cerco di parlarne il più possibile e di esternizza­re. È importante. Credo di doverlo alla mia famiglia. Siamo ottimi comunicato­ri.

Del rapimento cosa le è rimasto dentro?

Tutto lascia un segno. Sono più attenta. Non mi sveglio nel cuore della notte in un bagno di sudore, ma ogni tanto qualche incubo arriva. Sono fortunata. Ho attorno a me persone che adoro e che mi hanno aiutato tantissimo. Due nonne italiane, tre sorelle, due genitori, un marito che fa il giornalist­a e capisce esattament­e i miei dilemmi, un bambino. Ovunque io sia, sento di avere attorno a me questa famiglia straordina­ria, non mi sento mai sola.

È stata criticata perché ha continuato a lavorare, e ad esporsi al pericolo, anche quando era incinta. È rimasta sorpresa dalle critiche?

Mi ha sorpreso e ferito il fatto che le critiche arrivasser­o soprattutt­o da donne. È come se non ci permettess­imo di ammettere le complessit­à dei nostri ruoli.

 ??  ?? Lynsey Addario, 41 anni. Dal 2000, è stata inviata di guerra in Afghanista­n, Iraq, Libano, Darfur, Congo e Libia, dove fu sequestrat­a con altri tre colleghi.
Lynsey Addario, 41 anni. Dal 2000, è stata inviata di guerra in Afghanista­n, Iraq, Libano, Darfur, Congo e Libia, dove fu sequestrat­a con altri tre colleghi.
 ??  ?? L’obiettivo della reporter ha colto due donne afghane in attesa di essere trasportat­e all’ospedale (distante 5 ore d’auto). La donna a destra sta per partorire.
L’obiettivo della reporter ha colto due donne afghane in attesa di essere trasportat­e all’ospedale (distante 5 ore d’auto). La donna a destra sta per partorire.
 ??  ?? In alto, insorti anti- Gheddaf avanzano dopo una giornata di combattime­nti a Ras Lanuf, Libia (2011). A sinistra, Lynsey Addario con i ribelli del Darfur.
In alto, insorti anti- Gheddaf avanzano dopo una giornata di combattime­nti a Ras Lanuf, Libia (2011). A sinistra, Lynsey Addario con i ribelli del Darfur.
 ??  ?? Kabul, anno 2000: è uno dei primi scatti di Lynsey Addario dall’Afghanista­n. Sotto, militari americani impegnati nell’Operazione Rock Avalanche, Korengal Valley, Afghanista­n (2007).
Kabul, anno 2000: è uno dei primi scatti di Lynsey Addario dall’Afghanista­n. Sotto, militari americani impegnati nell’Operazione Rock Avalanche, Korengal Valley, Afghanista­n (2007).

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