Corriere della Sera - Io Donna
Serena Dandini La tv mi ha condannato all’eterna giovinezza
“Tutta colpa dei vecchi sketch riproposti di continuo” dice Serena Dandini. Che non ha paura di fare bilanci. Ma anzi, sulle battaglie (perse) di una generazione ha scritto il suo primo romanzo...
Serena dandini scrive il suo primo romanzo, Il futuro di una volta ( Rizzoli), a cui si è avvicinata per gradi: il libro sul giardinaggio, poi lo spettacolo teatrale Ferite a morte. «A sessant’anni dichiarati, primipara attempata ». Non lo ha fatto prima, dice, per pudore e per il complesso de «la ragazza della televisione». Eppure in questo romanzo autentico, malinconico, inaspettato, niente c’è di televisione e molto di vita (illusione, disillusione, fallimento, allegro fallimento, scoperta delle debolezze, magnifche debolezze) attraverso il confronto di due generazioni, da una parte i quasi quarantenni, dall’altra i settantenni che volevano cambiare il mondo.
L’hanno poi cambiato?
No.
Cosa hanno fatto allora?
Hanno coltivato marijuana in giardino, sono andati a vivere in campagna, sono diventati esperti in agopuntura, alcuni hanno aperto il fantomatico chiringui
to sulla spiaggia in Sud America.
E dopo?
Sono tornati indietro.
Ammettendo di essersi sbagliati?
Oggi c’è il mito della vittoria, vietato
Il femminismo sembrava che ci avesse emancipate tutte, in realtà siamo dei gatti bagnati, sempre lì a chiedere «Non mi dici che sono bella?»
mostrarsi perdenti, perché? Il fallimento non è una vergogna, anzi: fallire signifca intanto averci provato.
Lei che c’entra con quella generazione?
L’ho frequentata, ero la più piccola, arrancavo dietro.
Voleva essere e non era?
Volevo essere Marianne Faithfull, fdanzata di Mick Jagger, arrestata nuda in pelliccia.
A quanti anni?
Dodici. Trent’anni dopo mi è capitato di intervistarla e dentro di me ho pensato: “che me so’ scansata”.
Ovvero?
Meglio quello che sono stata io.
Chi è stata lei?
Tutto: rivoluzionaria, hippie, fricchettona. Bucolica, contro gli antibiotici. Ancora contro gli antibiotici? Siamo tutti figli dell’Oki. E la fase bucolica? Sono andata a vivere in campagna, dieci chilometri di strada bianca dal paese. Niente luce, né acqua, allattavo mia fglia alla luce di candela, fnché non abbiamo preso la batteria di un trattore per attaccare la lampadina.
E poi?
Siamo tornati in città. Anche noi.
Senso di sconftta?
Bisogna recuperare il valore del ricominciare.
Anche sul lavoro?
Sempre.
Le pesa non essere in televisione?
Ci sono anche troppo. Con Techetecheté,
La copertina del romanzo di Serena Dandini:
Il futuro di una volta ( Rizzoli). Esce il 1° ottobre. il programma che rimanda in onda sketch di vecchie trasmissioni. Mi vedo e penso: “Quanto ho lavorato”. Penso pure: che capelli! Ho dei pentimenti, soprattutto su certi caschetti.
E la radio?
Ho deciso di lasciarla, voglio godermi il libro. Un giorno mia fglia mi ha detto: «Che t’importa, vai a scivoloé.
Arriva, poi se ne va. Purtroppo non è defnitivo. Il femminismo sembrava ci avesse emancipate tutte, in realtà siamo dei gatti bagnati, sempre lì a chiedere «non mi dici che sono bella?».
Frase che nel libro lei fa dire alla madre: «prendi la vita a scivolo».
A un certo punto bisogna mollare. Come quando sulla spiaggia tiri in dentro la pancia, arriva il giorno che dici: basta, questa è la mia pancia.
Quando è arrivato quel giorno per lei?
Sua fglia si è riconosciuta nella fglia del romanzo?
No, assolutamente, Adele è completamente diversa, opposta, non poteva riconoscersi, impossibile. Credo.
Che cosa ha detto del libro?
Ha trovato un refuso.
Del rapporto madre-fglia lei dice «cresciamo tutte per opposizione», anche lei è cresciuta per opposizione?
Come Rossella O’Hara: «Giuro su questa terra che non voglio essere come mia madre». Poi te la ritrovi dentro. Ricompare come Highlander, col
tailleur grigio. E devi farci i conti.
Lei ci è riuscita?
Mi sono liberata del tailleur.
Quando accade?
Quando provi struggimento per tua madre, è la fne dell’opposizione. Finalmente. Il romanzo racconta proprio questa riconciliazione/accettazione? Un attimo, il romanzo non è solo rapporto madre-fglia, o confronto tra due generazioni. Una mia amica ha detto: «Ammazza, c’è tanto sesso».
Ha preferito raccontare quello dei settantenni, non dei quarantenni: perché?
Mi piaceva raccontare il sesso degli arrugginiti.
Ci sono pagine molto dettagliate.
Una risposta a scrittori maschi, amici, che scrivono dell’odore/sapore del sesso femminile. Ora ve lo dico io com’è.
Uno dei suoi personaggi, un settantenne, ex bel ragazzo, come lo defnisce lei, porta la maglietta con la scritta:
Rock and roll will never die. Invece muore.
I suoi personaggi lo capiscono troppo tardi?
Da ragazzi noi non contemplavamo la morte normale, c’era la morte eroica e la morte rock. In realtà non avevamo previsto niente, neanche la vecchiaia.
La foto sulla spiaggia di Goa - che nel libro torna spesso - fssa l’istante in cui non contemplavate morte e vecchiaia?
La foto esiste davvero. Mezzi nudi, perizoma, fori in testa, giovanissimi, tutto era possibile. Anche per lei? Io non c’ero. Avevo fnito i soldi e mi ero dovuta fermare in Afghanistan. Mi è rimasto qui, ci sono tornata anni dopo.
Quanti anni sono passati dalla foto?
Più di quaranta.
Cosa è cambiato?
Siamo tutti invecchiati. Ma l’abbiamo accettato. Insomma, non abbiamo fatto molto per allontanare la vecchiaia. Oggi invece c’è questa smania di giovinezza eterna, questa eternità forzata.
A cui lei è condannata, lo sa?
Colpa di Techetecheté.