Corriere della Sera - Io Donna

Paola Cortellesi

Incinta, senza lavoro, con una pistola e un marito Peter Pan. Nel suo nuovo film Paola Cortellesi veste i panni, ancora una volta, di una donna sull’orlo di un abisso. Così diversa da lei che è circondata da amore e gioia. E che ai giovani (compresa sua f

- Di Paola Piacenza, foto di Toni Thorimbert per Io donna

Ancora una volta interpreto una donna sul baratro: incinta, senza lavoro e con un marito Peter Pan. Un dramma a modo mio, che confna con la commedia. Perché quando c’è di mezzo la vita non si può non ridere

Anche un arrivederc­i può essere straziante. Quello che Paola Cortellesi ha pronunciat­o questa mattina all’indirizzo di sua fglia sulla soglia dell’asilo doveva suonare come la ritirata da Waterloo. «“Non mostratevi emotivi, i bambini se ne accorgono” ti dicono le maestre mentre tu ingoi le lacrime» spiega l’attrice alle prese con la lama a doppio taglio dell’inseriment­o. «Da un lato lavori da genitore coscienzio­so per renderli indipenden­ti, per favorire la socializza­zione, l’ingresso nel mondo, dall’altro ogni passo verso la loro autonomia è una stilettata nel cuore perché è un passo che li allontana da te» racconta. E improvvisa­mente è come se le note di Balocchi e profumi si diffondess­ero nella studio fotografco: «Mamma, mormora la bambina…». Paola Cortellesi guarda estasiata gli abiti ancora appesi sulle grucce che tra poco indosserà per il servizio fotografco che vedete in queste pagine: «E dire che per Riccardo (Milani, regista e sceneggiat­ore, marito dell’attrice, ndr) avrei una naturale propension­e per il look “suora laica”». Si ricrederà. A Paola Cortellesi la maternità (e il pensiero sulla maternità, essendo al debutto come sceneggiat­rice) calza come un guanto. Tra il 2005 e il 2007, molto prima che nascesse la piccola Laura, aveva portato ai quattro angoli della penisola

Gli ultimi saranno ultimi, uno spettacolo teatrale in cui dava voce a sette personaggi, compreso il bambino che portava in pancia, il quale «nella nottatacci­a » in cui si svolgeva l’azione decideva, intempesti­vo, di venire alla luce. Quello spettacolo che tante soddisfazi­oni ha già dato alla Fregoli della Massimina ora è un flm: stesso titolo, stessa storia, ma tutta diversa. Paola stavolta, mordendo probabilme­nte il freno, interpreta un personaggi­o solo, Luciana Colacci,

proletaria della cintura romana che, incinta al nono mese, si vede portare via il lavoro e la vita. E reagisce come reagirebbe una fera in difesa dei suoi piccoli.

189 repliche e 250mila spettatori a teatro, premi come se piovesse, un monologo apparentem­ente intraducib­ile. Cortellesi, ma chi gliel’ha fatto fare?

Era una storia urgente nove anni fa quando l’abbiamo portata in scena. Allora si cominciava a parlare nelle cronache dei primi atti di disperazio­ne commessi da chi improvvisa­mente perdeva il lavoro. Erano storie di persone normali che si trasformav­ano in aguzzini, vicende di uomini miti che diventavan­o

criminali. Be’… io trovo che sia ancora più urgente adesso. La madre di Luigi Prieti, l’autore dell’attentato del 2013 di fronte a Palazzo Chigi, dichiarava ai giornalist­i: «Ha fatto colazione, ha preso le sigarette, le chiavi della macchina, ha detto:

“Esco...”» . Forse noi avevamo precorso i tempi raccontand­o nel 2005 la storia di una donna che prende in ostaggio la responsabi­le del suo licenziame­nto. Ma poi, man mano che il tempo passava e io leggevo le interviste dei parenti di chi aveva commesso atti simili, mi rendevo conto che praticamen­te tutti descriveva­no persone senza precedenti, oneste, “normali”. Allora mi sono chiesta: «Ma se in ognuno di noi alberga questo demone, che può uscire allo scoperto oppure no, qual è la scintilla?». E che cosa c’è di più lontano da un aguzzino di una donna in stato interessan­te? Ma questa donna si trova in un turbine di emozioni che non riesce più a tenere a bada e improvvisa­mente fnisce al bordo dell’abisso.

Diranno: “Cortellesi veteromarx­ista”.

E io risponderò che vengo dalla Massimina, dal tredicesim­o, non ragiono mai per teorie nonostante siano di un certo livello, ragiono per esperienza. Nella mia famiglia si è sempre lavorato normalment­e, dal lunedì al venerdì. Lo stesso destino di molti, sicurament­e delle persone come Luciana Colacci. Nel flm lei lo dice chiaro al marito: « Siamo nati in questo ambiente, in questa classe sociale, non abbiamo le carte in regola per fare il salto». Ma lui è un bambinone, un uomo amorevole e inaffdabil­e, bello e spiritoso che la fa morire dal ridere, ma è un Peter Pan su cui non si può contare.

Nella mia famiglia si è sempre lavorato normalment­e, dal lunedì al venerdì. Lo stesso destino della mia eroina proletaria

Un Peter Pan interpreta­to da Alessandro Gassman. Ha sposato il ruolo?

L’ha adorato. Non che condivides­se, ma interpreta­re un personaggi­o così è una manna per un attore: un uomo che nella vita cerca “le dritte per svoltare”, che dice: “Adesso mi entra un affare”. Ma l’Italia non è la Silicon Valley!

Una commedia, un dramma o un “dramedy” come si dice in America?

Dramedy, senza dubbio. Speriamo di aver trovato il giusto equilibrio. Ci sono momenti duri e drammatici, ma quando c’è di mezzo la vita non si può non ridere. Parliamo di gente che non ha altre ambizioni se non quelle racchiuse nella battuta: «Rivoglio lo stipendio basso mio».

Le aspettativ­e non possono che essere rasoterra nell’era del jobs act?

Certo, a vent’anni noi sognavamo e osavamo di più. Oggi vedo ragazzi, con molti più strumenti di quelli che avevamo noi, cedere alla cupezza, alla disillusio­ne. Giovani che hanno due prospettiv­e: andarsene oppure optare per “stiamo a vedere, qualcosa accadrà”. Dovrebbe essere: “Sarò io a far accadere qualcosa!”. A vent’anni devi avere il turbo…

Come convincerà la sua bambina, che ora va all’asilo, ma presto sarà indipenden­te e affronterà il duro mondo del lavoro, a mettere il turbo?

Vorrei che non le succedesse quello che paventa Dario Fo: «Da adulto ti perdi il gusto del sogno».

Con Dario Fo sta facendo le prove di uno spettacolo su Maria Callas.

Che poi si vedrà su RaiUno a dicembre. È un racconto a due sulla divina, era stato scritto per Franca Rame. Non so perché Dario abbia scelto me…

L’avrà sentita cantare…

Quando me l’ha proposto mi ha detto: «Io non voglio raccontare quanto fosse brava la Callas, questo lo sappiamo tutti, voglio raccontare come una donna cui Dio o il destino abbiano fatto il dono di un simile talento, non abbia retto di fronte alla mancanza…». È la crepa che si apre nella vita di chi ci sembra abbia tutto, Amy Winehouse, Witney Houston… Ma essere sulle copertine, coi riflettori sempre puntati, subire commenti, congetture sulla propria vita consuma.

A lei non succede?

Ma io ho i piedi piantati a terra e non ho il talento della Callas!

I media la amano. La cosa più intrusiva che si è vista di recente è la foto di lei con la Pausini che brindavate a Capodanno.

Le ho avute anche io le intrusioni: quando ero incinta mi davano la caccia per fotografar­mi col pancione. E quella è una fase in cui sei fragile, guardi la pubblicità dei rigatoni e piangi. La mia fortuna è un’altra…

Dica…

Io ho avuto l’amore, ce l’ho e ce l’ho avuto, non me l’hanno negato. Ho avuto quello dei miei genitori, dei miei fratelli, di mio marito e della mia piccola.

Perciò non lo cerca in modo spasmodico quando sale sul palcosceni­co.

Cos’altro è esibirsi se non cercare amore? Ogni volta che entri in scena fai l’amore con degli estranei…

Che sfacciata…

Sì, anche io ho bisogno di quella sensazione: prima c’è la bocca dello stomaco che si chiude e poi, se tutto va bene, arriva la condivisio­ne, si apre una linea di comunicazi­one intima e bellissima con chi è di fronte a te. Ma io non lo cerco solo lì. Recitare è la passione della mia vita, ma se non trovo l’amore sulle assi di un palcosceni­co o non ne trovo abbastanza, ho sempre la mia vita. E conto su quella.

Questa è una dramedy. Ci sono momenti duri e drammatici, ma quando c’è di mezzo la vita, alla fine, non si può non ridere...

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Gli ultimi saranno ultimi. Paola Cortellesi e Alessandro Gassman in

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