Corriere della Sera - Io Donna
IL BUSINESS DELLE SCHIAVE
la prode isoke aikpitanyi è una ragazza nigeriana ex-vittima di tratta, costretta a prostituirsi per lungo tempo e sfuggita miracolosamente ai suoi aguzzini: la sua storia nel libro
Lei ce l’ha fatta, ma sui marciapiedi d’Italia le prede di schiavisti e di clienti compiacenti, africane e non solo, sono ancora tantissime. Con un moto di orgoglio e di autodeterminazione Isoke e altre ragazze hanno deciso di prendere parola «per non essere più oggetto di interventi, ma soggetto concreto della lotta», sedendo ai tavoli dove si discute e si decide su tratta e prostituzione. Basta intermediari e tutor, basta con le migliaia di euro spesi in convegni mentre loro restano costrette in strada per sopravvivere. Il business del sociale è cospicuo - associazioni, addetti ai lavori, progetti finanziati con fondi pubblici -: un sacco di gente che ci sbarca il lunario. Con un rischio: se l’oggetto di intervento si emancipa troppo e diventa soggetto, se mostra di sapersi aiutare da solo e senza tutoring, il baraccone non sta più in piedi. Esageriamo per capirci: il giorno in cui la tratta non esisterà più, i “trattologi” dovranno trovarsi un lavoro. Non vale certo per tutto il terzo settore, dove fioriscono meravigliose esperienze. Ma esiste anche un’opera sociale pelosa e parassitaria che come condizione per riprodursi, paradossalmente necessita che le condizioni di miseria, di marginalità e di bisogno dei propri assistiti si perpetuino (o almeno non si estinguano del tutto). In modo da poter esistere ed essere finanziati ad libitum.