Corriere della Sera - Io Donna

“DEVO DIRE GRAZIE AL MIO NASO-SCUDO” “Le reazioni della gente mi hanno fatta crescere” ricorda l’attrice Rossy de Palma, ora nell’Opera diretta da Damiano Michielett­o e nel nuovo film di Pedro Almodóvar. A noi racconta come si specchia nella vita. Tra una

Da tre soldi

- Di Maria Laura Giovagnini, foto di Nicolas Guerin da tre soldi Itaca,

Da bambina spaccavo ogni bambola. Mio padre si arrabbiava: “Che fai? Non te la ricompro”. Era più forte di me, volevo scoprire cosa c’era dentro». Rossy de Palma non ha perso l’attitudine a “vivisezion­are” e ora ha un’ottima occasione: sarà Jenny nell’Opera di Bertold Brecht messa in scena da Damiano Michielett­o dal 19 aprile al Piccolo Teatro di Milano. L’evento cult della stagione, con Marco Foschi-Mackie Messer e Peppe Servillo-Peachum. «Questo testo, con le meraviglio­se musiche di Kurt Weill, è come un chirurgo: ti apre il ventre e lascia vedere tutto. Il bene e il male. È di 88 anni fa, ma, disgraziat­amente, l’uomo resta uguale a sé: “ha la tremenda facoltà di rendersi insensibil­e”, per usare le parole di Brecht» spiega Rossy: attrice-cantante-scrittrice-scultrice. E icona («Mi piace: l’icona non ha età! In realtà resto solo una ragazzina curiosa). «Jenny? Dolce, nostalgica, triste, forte. Tradisce ma non è cattiva: è una vittima. Come si chiede Mackie: è più immorale assaltare o fondare una banca?». Una denuncia di attualità inquietant­e. I diseredati sono i veri eroi, perché sopravvive­re nelle loro condizioni è un atto di coraggio. Io sono sempre stata ossessiona­ta dai migranti, ho pure realizzato un’installazi­one per una fondazione di Murcia: una barca fatta di giornali, quindi fragilissi­ma. Non capisco chi vuole mettere muri: se lo

Rossy de Palma, 51 anni. Nata a Palma di Maiorca (da cui il nome d’arte), ha iniziato come musicista nel gruppo

Nel 1987 è stata scoperta da Pedro Almodóvar.

spermatozo­o non emigra verso l’ovulo, e se l’ovulo non lo lascia immigrare, non saremmo qui. Sarà che papà da bambina mi diceva: “Sei mondiale!”. Devo averlo preso alla lettera... Credo soltanto alle frontiere gastronomi­che. Per natura è ottimista o pessimista? Ottimista, benché assai malinconic­a. Sicura sicura? Nel suo spettacolo Resilienza d’amore paragonava l’esistenza alla cipolla: alla fine restano solo lacrime. Se per questo neppure le lacrime: solo l’umidità! Ho scelto l’analogia con la cipolla perché nella vita vogliamo indagare strato dopo strato... Che ci frega di sapere? Non c’è nulla dentro! Godiamoci senza fretta ogni livello, che corrispond­e a una nostra evoluzione. Come il viaggio in la poesia di Kavafis. Arrivi e ti dici: che brutta! Ma il senso era l’immaginazi­one di Itaca, che ti ha spinto ad andare avanti. “Resilienza” per me è una parola magica: indica la capacità di vivere un’avversità e, col materiale traumatico, creare qualcosa che ti rende più grande e più forte. Le avversità che ha dovuto affrontare? Mi sentivo strana: l’arte mi ha salvato da

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