Corriere della Sera - Io Donna

Nella terra in cui è d’uso appellarsi “akò” e “amà”, fratello e sorella, per sentirsi uguali e uniti, qui e là ci si comincia a scrutare in base a quel che si possiede

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E non mancano gli scettici, quelli che ricordano che i militari detengono ancora per legge il 25 per cento dei seggi e il potente Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa. Che alzano l’indice per sottolinea­re che «la Lady non si è espressa ancora contro le discrimina­zioni all’etnia musulmana Rohingya al confine con il Bangladesh», che arricciano la fronte sulla possibile soluzione dei conflitti nella regione del Kachin: «Conflitti confusi fra problemi etnici e interessi di giada, rubini e oppio in commercio con la vicina Cina » come segnalano Darko e Mai Key, giovani artisti a una festa in cui ora si dice ciò che si pensa. Quel che è certo è che lo stesso Myanmar in cui è d’uso appellarsi l’un l’altro “akò” e “amà”, fratello e sorella, per sentirsi uguali e uniti, qui e là ci si comincia a scrutare invece in base a quel che si possiede. E dove avrebbero restituito anche una banconota di mille kyat (meno di un euro) smarrita, ora si cerca invece di vendere ogni sasso alle frotte di turisti che attendono il tramonto fra i tremila templi di Bagan o fra le palafitte del Lago di Inle, dove questa terra è già quel che corre il rischio di diventare: avida della sua bellezza e astuta nel dispensarl­a.

Ma questo fermento è solo un volto del Myanmar, basta continuare l’esplorazio­ne all’interno del Paese, come abbiamo fatto visitando i progetti della ong italiana Cesvi, e si apre la porta di un’altra epoca. L’aria che tira si sente nello stato dello Shan, dove Cesvi è presente con importanti piani di sanità per la cura e il controllo della malaria e della tubercolos­i. Qui, insieme alle prime mosse contro l’arretratez­za, si percepisce ancora l’effetto di oltre due millenni di buddismo puro, penetrato nel sangue come il respiro e la propension­e a condivider­e e ad aiutarsi per illuminare questa e le prossime vite. Con la clinica mobile di Cesvi, al seguito di donne centaure che fanno la spola fra le volontarie di decine di centri remoti e i punti di sanità, siamo arrivati in luoghi fermi nel tempo che potremmo giurare che non esistono se non li avessimo visti con i nostri occhi. E dove le donne che si emancipano spesso devono scegliere tra un lavoro e la famiglia: «Aiutare e curare le persone mi ha riempito il cuore più di un marito e dei figli» ci ha testimonia­to

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Qui a fianco, svaghi del fine settimana a People’s Park, nel centro di Yangon. Sotto, miniatura di un palazzo in costruzion­e.
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