Corriere della Sera - Io Donna
“LA CURATRICE È COME LA MAMMA. SE L’ARTISTA FA I CAPRICCI, DEVE RIUSCIRE A ESSERE DURA” Il valzer degli esclusi non la preoccupa. Anzi, niente più “ammucchiate”. Per il Padiglione Italia alla Biennale Arte di Venezia 2017 , Cecilia Alemani ha un progetto
due anni. La prossima edizione darà spazio ad altri. Non la preoccupa, insomma… Quello che m’interessa è lavorare con gli artisti e aiutarli a realizzare i loro progetti più ambiziosi. Com’è l’arte italiana vista dagli Stati Uniti? A me piace pensare agli italiani come ad artisti globali. Non guardo mai le loro opere sotto la lente della nazionalità: prendo in considerazione quello che fanno, indipendentemente dal loro passaporto. C’è chi rimpiange gli anni d’oro, Arte Povera, Transavanguardia… È un vizio della critica, ritirarsi sulle spalle di questi grandi artisti che non lasciano ad altre tendenze spazio per emergere. Spero che le nuove generazioni riescano a sottrarsi a questo confronto e mettersi in relazione con movimenti non solo nazionali. Forse in Italia ci vorrebbero più spazi non profit. Istituzioni che possono vivere tra i grandi musei da un lato e le gallerie commerciali dall’altro. A New York, dove ce ne sono moltissimi, gli artisti hanno più possibilità di muovere i loro primi passi e di rischiare. Lei cosa voleva fare, da grande? L’archeologa. Un’estate ho anche partecipato a un campo vicino a Viterbo. Dopo giorni a scavare inutilmente per trovare le rovine di una villa romana ho cambiato idea. Cosa consiglia a un giovane che vuole fare il suo mestiere? Vedere più arte possibile, parlare con gli artisti e fare le proprie mostre, anche in uno spazio piccolissimo, anche digitali. Se c’è l’opportunità di viaggiare e confrontarsi con un contesto internazionale tanto meglio. Ma non penso che uno se ne debba andar dall’Italia per fare bene questo lavoro.