Corriere della Sera - Io Donna
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lungo un arco di vent’anni che per i protagonisti rappresentano il periodo tra la fine dell’università e la mezza età o tra l’infanzia e la maturità. «Nessuno di loro sta bene nella propria pelle» racconta O’Farrell davanti a una tazza di tè a Edimburgo, città dove lei, irlandese di nascita, vive con il marito ( William Sutcliffe, scrittore anche lui), tre figli piccoli (abili critici letterari), due gatti e una tartaruga. A proposito di pelle: l’eczema del piccolo Niall provoca un certo dolore fisico nel lettore. Nasce da un’esperienza personale? Purtroppo sì. Mia figlia ne soffre da quando è nata. Abbiamo provato di tutto senza riuscire ad aiutarla completamente. Adesso sta un po’ meglio: mi piace pensare che sia per via della pomata che le preparo io. Quelle tradizionali non funzionavano. Mi ha anche aiutato con il romanzo. Le ho dato un paio di scene da leggere e mi ha corretto: non sapevo che la pelle sembra scottare quando hai l’eczema. Scrivere mi ha permesso di esorcizzare un po’ l’impotenza che si prova quando un figlio soffre. Allo stesso tempo l’eczema di Niall è una metafora, è l’espressione fisica del fastidio, dell’insofferenza, dell’insoddisfazione che provano i personaggi. Alla fine è Niall l’eroe. La protagonista femminile è un’attrice che all’improvviso svanisce nel nulla e si costruisce una vita completamente anonima. Com’è nata l’idea del personaggio? Claudette è un personaggio che mi portavo dentro da un po’. È nata da un brevissimo incontro in un bar di Londra. Ero entrata a prendere un caffè. Avevo mio figlio nel marsupio. Mi sono seduta a un tavolo senza fare troppo caso agli altri occupanti, quando ho cominciato a captare una strana atmosfera. Mi sono voltata e ho visto che accanto a me c’era un’attrice famosissima, una donna che in È sempre il mio primo lettore. È un critico onesto e severo, ma anche molto bravo. Il segreto è non prendere le sue osservazioni in modo personale. Non sempre è facile. Quando ho scritto il primo romanzo - abitavamo a Lucca - mi ha detto: «È bello, ma devi riscrivere la seconda parte». Sono uscita a fare una passeggiata per sbollire la rabbia. Ho fatto il giro delle vecchie mura della città. Aveva ragione. Lei lo tratta con la stessa severità? Certo. È cresciuta in un periodo in cui verso gli irlandesi c’era diffidenza. Oggi il dibattito è sull’Europa e la diffidenza è spostata verso altri “stranieri”. È un dejà vu?