Corriere della Sera - Io Donna

AUNG, FAI QUALCOSA DA PREMIO NOBEL

- Realpoliti­k. fventurini­500@gmail.com

anche un premio nobel per la Pace merita di essere criticato se dimentica i suoi valori. Aung San Suu Kyi, la leader birmana che ha vissuto quindici anni agli arresti domiciliar­i e che ora è riuscita a portare la democrazia nel suo Paese dopo aver stravinto le elezioni, è meritatame­nte un’icona libertaria. Senza il suo coraggio, senza la sua tenacia, la dittatura militare non sarebbe stata sconfitta. Ma tanti meriti non possono e non devono cancellare il fatto che nel suo sin qui esaltante curriculum comincia a formarsi una macchia. Myanmar, come si chiama ora la Birmania, ha una popolazion­e a forte maggioranz­a buddista. Ma esiste anche una forte minoranza islamica: i Rohingya, vittime di una terribile repression­e nel 2012 e da sempre emarginati, sottoposti a discrimina­zioni, privati dei più basilari diritti civili. I nazionalis­ti buddisti li chiamano “bengalesi”, e sostengono che devono andarsene a casa loro. Ma questa casa non esiste. E ha destato stupore che Aung, poco dopo aver assunto i suoi nuovi poteri, abbia chiesto all’ambasciato­re Usa di evitare il termine Rohingya e si sia così allineata alle posizioni degli estremisti. Anche le icone devono ragionare, rispondono i suoi collaborat­ori: non è ancora il momento di irritare i nazionalis­ti buddisti, di spaccare il nuovo Parlamento o di turbare i rapporti con i militari rimasti a guardare. Forse questa è una saggia

Ma da una eroina come lei non me l’aspettavo. Si avvicina il momento di mandarle un messaggio che i politici italiani capirebber­o al volo: “Aung, fai qualcosa da Premio Nobel”.

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