Corriere della Sera - Io Donna
Premessa: le corride non ci piacciono. E ci sconvolgono quando a lasciarci la vita sono i toreri, come è successo pochi giorni fa. Eppure quel mondo affascina nuove leve di matadores. Noi abbiamo incontrato Lea Vicens, 29 anni, che dice: «È spettacolo del
a cinque secoli nascono solo per soffrire e morire nell’arena. Che qualcuno può pensare sia meglio di un mattatoio, ma comunque è una tragica fine. Per migliaia di tori, ogni anno. Talvolta anche per i toreri. La Spagna sembra stanca di tanto sangue, se sono esatte le statistiche che parlano di un 65 per cento di spagnoli poco o per nulla interessati ad assistere al sacrificio di una bestia stremata dai picadores e condannata a piegare le ginocchia con una spada conficcata tra le scapole, al netto dell’enfasi hemingwayana. Canarie e Catalogna hanno abolito le corride e il 33,8 per cento della nazione, composto soprattutto da giovani, plaude alla fine di una crudeltà d’altri tempi. Eppure il mondo de “los toros” resiste, reagisce agli attacchi, ricorre alla Corte costituzionale. Si formano nuove leve di matadores che vogliono perpetuare la tradizione, oggetto ormai di un duro confronto sociale: «Riceviamo continuamente minacce e auguri di morte. Perfino la vedova di Victor Barrio, il giovane torero ucciso pochi giorni fa nell’arena di Teruel, è stata inondata di messaggi orribili di persone che si compiacevano della fine di suo marito. Qui in Spagna stanno nascendo organizzazioni giuridiche per proteggere il mondo taurino da questi attacchi». Lea Vicens è nata 29 anni fa nel sud della Francia, a Nîmes, non lontano dalle mandrie di tori e cavalli bradi della Camargue, e ora vive in Andalusia, a Siviglia. Non discende da matadores, ma fin dall’adolescenza D