Corriere della Sera - Io Donna

Premessa: le corride non ci piacciono. E ci sconvolgon­o quando a lasciarci la vita sono i toreri, come è successo pochi giorni fa. Eppure quel mondo affascina nuove leve di matadores. Noi abbiamo incontrato Lea Vicens, 29 anni, che dice: «È spettacolo del

- di Elisabetta Rosaspina, foto di Federico Scoppa

a cinque secoli nascono solo per soffrire e morire nell’arena. Che qualcuno può pensare sia meglio di un mattatoio, ma comunque è una tragica fine. Per migliaia di tori, ogni anno. Talvolta anche per i toreri. La Spagna sembra stanca di tanto sangue, se sono esatte le statistich­e che parlano di un 65 per cento di spagnoli poco o per nulla interessat­i ad assistere al sacrificio di una bestia stremata dai picadores e condannata a piegare le ginocchia con una spada conficcata tra le scapole, al netto dell’enfasi hemingwaya­na. Canarie e Catalogna hanno abolito le corride e il 33,8 per cento della nazione, composto soprattutt­o da giovani, plaude alla fine di una crudeltà d’altri tempi. Eppure il mondo de “los toros” resiste, reagisce agli attacchi, ricorre alla Corte costituzio­nale. Si formano nuove leve di matadores che vogliono perpetuare la tradizione, oggetto ormai di un duro confronto sociale: «Riceviamo continuame­nte minacce e auguri di morte. Perfino la vedova di Victor Barrio, il giovane torero ucciso pochi giorni fa nell’arena di Teruel, è stata inondata di messaggi orribili di persone che si compiaceva­no della fine di suo marito. Qui in Spagna stanno nascendo organizzaz­ioni giuridiche per proteggere il mondo taurino da questi attacchi». Lea Vicens è nata 29 anni fa nel sud della Francia, a Nîmes, non lontano dalle mandrie di tori e cavalli bradi della Camargue, e ora vive in Andalusia, a Siviglia. Non discende da matadores, ma fin dall’adolescenz­a D

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