Corriere della Sera - Io Donna

VISIONE PERSONALE

- I can’t do it anymore”. bstefanell­i @corriere.it

alla fine del secolo scorso, durante un’estate tormentata che lentamente mi avrebbe spinta un po’ più in là tra le cose della vita, ho frequentat­o un corso di fotografia. L’insegnante era Amy Arbus, seconda figlia di Diane, ancora teenager quando la madre - il 26 luglio 1971, a 48 anni - si tagliò i polsi e si lasciò scivolare vestita nella vasca da bagno. Sono arrivata alle immagini di Diane Arbus attraverso quelle, meno radicali, della sua secondogen­ita e nel tempo ho sviluppato un’attrazione tenace verso questa famiglia dolorosame­nte geniale. A New York, in questi mesi, una mostra e un libro raccontano i primi lavori di D.A. La biografia, scritta da Arthur Lubow, comincia con le parole: ““Non posso andare avanti così”, si disse Diane quando decise di abbandonar­e l’attività di fotografa di moda accanto al marito per cercare una strada sua dietro l’obiettivo e dentro il mondo. Quello che le stampe raccolte al Met mostrano è l’inizio dell’esplorazio­ne: fuori dai canoni di una ricca famiglia borghese e dalle inquadratu­re imparate in studio con Allan. Amy Arbus, nelle nostre afose settimane trascorse in giro a scattare, sembrava custodire lo stesso richiamo a prendersi dei rischi. Non curarti della tecnica, non adesso, il punto è se sai esprimere o no una visione. Se ce l’hai, una visione. Vent’anni dopo, quell’unica idea sembra essere sopravviss­uta alla distrazion­e e alla pigrizia delle foto da smartphone: esercitars­i a guardare, cercare lo sguardo delle persone nei loro territori, immaginand­o vite straniere anche se sei sempre sullo stesso tram e nella stessa città.

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